Il premier e la paura del governo tecnico
«Tuttavia, devo ammettere -conclude così Berlusconi- che sono preoccupato lo stesso». È il voto di Milano quello che tiene in tensione il premier. Il quale, anche a rischio di rasentare le strette regole elettorali, pure stamattina, al seggio, potrebbe parlare. Così come ha in animo domani, e lo ha confermato a più d’uno, di fare un nuovo show in tribunale per l’udienza Mills, dove fuori, a sostenerlo, ci sarà la Santanché, mentre tra i testimoni sfilerà Flavio Briatore. Due occasioni, che Berlusconi non intende affatto perdere. Il perché lo rivela lui stesso: «Questo non è un voto ordinario per sindaci e presidenti di provincia. Questo è un voto su di me e sul mio governo. È un voto in cui si gioca il futuro mio e della coalizione».
Questo pensa Berlusconi. E le preoccupazioni per quello che considera, a tutti gli effetti, un vero e proprio referendum, si concentrano soprattutto su Milano, su quanti consensi prenderà lui stesso in quanto candidato. Ebbe 53mila voti nel 2006, e adesso scendere al di sotto sarebbe uno smacco. Ma è la sorte della Moratti che lo angoscia. Una donna che, Berlusconi lo sa bene, non ha feeling con la gente comune ed è sopportata, e votata per forza, dalla borghesia. Una Moratti che rischia di andare in controtendenza rispetto ai risultati che potrebbero ottenere, insieme, Pdl e Lega. Almeno quattro punti al di sotto di quello che otterrebbero i partiti al governo. Loro, ovviamente, sopra la fatidica soglia del 50%, lei al di sotto. Con lo spauracchio del voto disgiunto: i milanesi potrebbero anche decidere di votare per il Pdl o per la Lega, ma poi indicare come candidato sindaco Pisapia anziché la Moratti.
È la sconfitta, ormai messa all’ordine del giorno, che fa aggrottare la fronte al Cavaliere. Il quale trae subito le conseguenze e ragiona così: «Se vinciamo è ovvio che io mi rafforzo, vado avanti, e governo fino al 2013 facendo tutte le riforme che ho promesso, a partire da quella della giustizia. Se invece si va al ballottaggio si creeranno subito dei problemi che però saranno risolti qualora si vinca a fine maggio. Ma se a Milano dovesse alla fine prevalere Pisapia sulla Moratti, nessuno potrà più garantire che la Lega continui a dare il suo appoggio a questo governo». E la crisi, a quel punto, sarà inevitabile.
È stato, e continua a essere Bossi, il tormentone per Berlusconi. Ne parla di continuo, preoccupato. «Mai come in questa campagna elettorale ho avvertito che il rapporto con lui non è più quello di un tempo. E nonostante continui a rifletterci, non riesco neppure a spiegarmi il perché di questo cambiamento». L’episodio più recente che lo ha turbato, e che non gli fa prevedere niente di buono per il futuro, soprattutto in caso di sconfitta, è il filo diretto e la sintonia che si sono create con Napolitano. Bossi sempre pronto a schierarsi col Quirinale e a prendere, implicitamente, le distanze dal Cavaliere. Una situazione che gli fa tornare in mente il fantasma della famosa crisi del ’94, il voltafaccia della Lega, il governo tecnico imposto dall’allora presidente Scalfaro. Ferite mai sanate, cicatrici dolenti che fanno male soprattutto mentre il Carroccio segna la distanza dal Pdl. Preoccupazioni che si rafforzano nonostante il plateale bacio di Bossi alla Moratti sul palco.
Inutilmente i suoi cercano di rincuorare Berlusconi qualora domani pomeriggio, sin dagli exit poll, si scopra che la prima cittadina di Milano resta al palo. Non cambia nulla, gli dicono, anche se dovessimo vincere al secondo turno. Ma per il Cavaliere, nella “sua” Milano, per giunta con un sindaco uscente e contro «uno di Rifondazione» come dice lui, per di più dopo tre anni di governo a Roma, questa sarebbe a tutti gli effetti una inaccettabile debacle. E sta già cercando i colpevoli.
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