by Editore | 22 Maggio 2011 7:19
L’incontinenza televisiva del presidente del Consiglio, manifestata attraverso l’occupazione dei Tg di famiglia e di quelli ancor più domestici della Rai, è uno scandalo che vìola le regole più elementari del confronto elettorale e perciò della democrazia. Un intollerabile abuso di potere che va fermato immediatamente in forza della legge: cioè delle norme che riguardano l’Autorità sulle Comunicazioni, la par condicio e il conflitto d’interessi.
È proprio all’Authority presieduta da Corrado Calabrò infatti che sono stati indirizzati ieri tre ricorsi urgenti di cui è primo firmatario Roberto Zaccaria, parlamentare del Partito democratico ed ex presidente della Rai, a nome di tutte le opposizioni. E quindi anche dell’Italia dei Valori, dell’Udc e di Fli che li hanno sottoscritti.
Per la precisione giuridica, si tratta – nell’ordine – di un esposto-denuncia per la «sovraesposizione del premier» nelle edizioni del Tg 1, Tg 2, Tg 4, Tg 5 e Studio Aperto, nel “prime time” di venerdì scorso, in violazione delle disposizioni della stessa Agcom sui videomessaggi; di un ricorso per violazione della legge sul conflitto d’interessi per il «costante squilibrio a favore del presidente del Consiglio»; e ancora di un altro esposto-denuncia per violazione della legge sulla par condicio nella campagna elettorale per i prossimi ballottaggi. A quest’ultimo proposito, i ricorrenti rilevano e contestano in particolare il triplice ruolo di Silvio Berlusconi, come presidente del Consiglio, leader del Pdl e per di più capolista del suo partito per le amministrative di Milano.
I dati contenuti negli esposti sono definiti «raccapriccianti» dallo stesso Zaccaria. E in effetti, anche se la rilevazione generale comprende il Tg 3 e La 7 ed è riferita alle edizioni dell’ora di pranzo e serali, il peso dei videomessaggi nei cinque telegiornali per così dire “incriminati” risulta devastante: in totale, a Berlusconi è stato concesso un tempo di parola pari a 17 minuti e 2 secondi e un tempo di notizia pari a 11 minuti e 25 secondi; contro i 2 minuti e, rispettivamente, 2 minuti 35 secondi accordati al leader del Pd, Pier Luigi Bersani; mentre 35 secondi e 2,11 minuti sono andati al presidente della Camera, Gianfranco Fini; a Pierferdinando Casini zero e 17 secondi; ad Antonio Di Pietro (Idv) 2,54 minuti e 58 secondi; a Nichi Vendola (Sel) appena 49 e 52 secondi.
In sostanza, tirando le somme, il centrodestra (compreso Berlusconi) ha ottenuto un tempo di parola pari a 21 minuti e 2 secondi e un tempo di notizia pari a 28 e 11 minuti; al centrosinistra (compresi tutti i leader) sono stati riservati invece 11 minuti e 30 secondi di parola e 14 minuti e 45 secondi di notizia. Nell’infausta giornata di venerdì 20 maggio 2011, in definitiva, la maggioranza incarnata dalla figura mitologica del premier a tre teste ha collezionato complessivamente su tutte le emittenti televisive nazionali un “tempo di antenna” pari al 66% contro il 34% dell’opposizione.
Il bombardamento mediatico sferrato contestualmente dal presidente-Cerbero attraverso i cinque telegiornali compiacenti, tre di sua proprietà e due pubblici, non ha precedenti negli annali della televisione mondiale. E come fa notare ancora Famiglia Cristiana, lo scandalo è doppio: da una parte, c’è «un primo ministro e proprietario di televisioni che si arroga prerogative inaccessibili agli avversari politici»; dall’altra, anche «un giornalismo tv che non tiene dritta la schiena ma si genuflette». Da qui, la sollecitazione dei ricorrenti all’Agcom a intervenire con urgenza e l’invito al presidente della Rai, Paolo Garimberti, a esercitare il suo ruolo di garanzia.
La tesi di fondo degli esposti è che le pseudo-interviste di Berlusconi ai cinque Tg, condotte con «domande molto formali», senza neppure un «minimo di contraddittorio», di «contenuto marcatamente pubblicitario» e con una «evidenza enorme dei loghi elettorali», equivalgono in realtà a «un videomessaggio vietato a reti unificate». Comizi via etere, in buona parte a spese dei cittadini abbonati alla Rai, di destra, di centro o di sinistra. Tutto ciò, oltre a determinare un evidente squilibrio tra maggioranza e opposizione, configura da parte dei telegiornali Mediaset una forma di «sostegno privilegiato» a favore del proprietario (o maggior azionista) dell’azienda che detiene la concessione. Per quanto riguarda più specificamente il ballottaggio tra Giuliano Pisapia e Letizia Moratti, i ricorrenti – sottolineando il fatto che il presidente del Consiglio è anche capolista del Pdl a Milano – sostengono che proprio «in tale veste è in grado di ricevere un diretto beneficio dal risultato elettorale in quella città » e denunciano che «i contenuti delle interviste non hanno nulla a che fare con l’esercizio della funzione di governo».
All’Autorità di garanzia sulle Comunicazioni, viene chiesto perciò di pronunciarsi con urgenza, «in considerazione della gravità e del danno irreparabile» che tali comportamenti possono produrre. E se i dati sullo squilibrio fra maggioranza e opposizione risulteranno fondati, di ordinare anche un «immediato ripristino delle condizioni di parità di trattamento in tutti i telegiornali nazionali che abbiano violato il principio di par condicio sino alla chiusura delle elezioni». Seguono le richieste di «procedure sanzionatorie», vale a dire di multe, a carico dei responsabili di tutte queste violazioni.
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