Il nuovo Medio Oriente secondo Obama. Il presidente torna a parlare all’Islam

by Editore | 12 Maggio 2011 7:20

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NEW YORK – La finestra è strettissima. Venerdì 20 maggio Barack Obama riceva alla Casa Bianca Benjamin Netanyahu, il premier d’Israele ancora senza pace. Lunedì 23 maggio atterra in Europa: e vede i leader di Francia e Inghilterra, le due nazioni che più si sono battute per la guerra a Muhammar Gheddafi, che doveva coronare la primavera araba e si sta trasformando in un altro pantano. In mezzo, il presidente degli Stati Uniti che ha appena consegnato al mondo al testa di Osama Bin Laden, tenterà  di «schiacciare la palla», come usa dire lui stesso. Un discorso all’Islam. Un altro: dopo quello del Cairo, giugno 2009, in cui invitava i paesi musulmani ad abbracciare la democrazia. Un discorso che, questa volta, viene pronunciato però da Washington, dal fortino della Casa Bianca finalmente liberato dall’incubo del capo, ma non per questo dall’ombra, di Al Qaeda. 
Proprio ieri i seguaci della penisola arabica, il gruppo che secondo Michael Leiter, il direttore dell’antiterrorismo, rappresenta «il pericolo più significativo», sono tornati a minacciare: «Non date alla vostra gente la falsa speranza che con l’uccisione di Osama sia finita». Anzi: «Lo rimpiangerete». La devastazione – dice il gruppo comandato da quell’Anwar Awlaki che gli Usa hanno tentato di eliminare qualche giorno fa con un drone – sarà  peggiore. 
Lo dice la parola stessa: l’obiettivo dei terroristi è appunto quello di incutere terrore. Ci stanno riuscendo. Nel compound di Abottabad – dove adesso gli americani rivelano di aver sequestrato addirittura il diario scritto a mano da Osama – c’erano i piani per “celebrare” l’11 settembre a colpi attentati a treni e stazioni, i falsi allarmi si moltiplicano. Il trasporto ferroviario è facile bersaglio: ogni 50 dollari che gli americani spendono per mettere in sicurezza aerei e aeroporti, solo uno va a treni e stazioni. 
Ma non si può restare preda della paura. Già  al Cairo Obama invitò l’Islam a ribellarsi agli estremisti. Oggi il messaggio sarà  ancora più chiaro. Ben Rhodes, il vice consigliere per la sicurezza, illustra al Wall Street Journal una «interessante coincidenza: l’uccisione di Bin Laden arriva nel momento in cui nella regione si impone un modello di cambiamento che va nella direzione opposta alla sua». È quello che Obama dirà : un altro mondo, anche per l’Islam, è possibile. Aggiungendo, però, la lezione di questi giorni: e cioè che l’uccisione del capo di Al Qaeda è la prova che gli Usa non dimenticano. E che il lavoro va finito. Come va finito il lavoro in Afghanistan: da cui pure – altra coincidenza – tra meno di due mesi gli americani cominciano il tribolato ritiro.
Il mondo islamico è a un incrocio, dirà  Barack: da qui l’approccio fallito di Bin Laden, da lì le rivolte pacifiche. Una chiamata, insomma, alle armi della democrazia: ma con meno salamelecchi. Al Cairo Obama rese omaggio all’istituzione che lo ospitava, quell’università  di Al Azhar che ora ricambia accusando gli Usa di aver esecrato il corpo di Osama col funerale in mare. No, stavolta sarà  un Obama molto più deciso, forte anche dei sondaggi secondo cui più della metà  degli americani lo vorrebbero rieleggere.
Naturalmente le incognite sono tante. Non c’è svolta nel mondo arabo che non passi per Gerusalemme: lo sapeva anche Osama, che nell’ultimo messaggio minaccia appunto guerra finché la Palestina non troverà  pace. Netanyahu arriva a Washington proprio mentre i duri di Hamas siglano l’accordo con Al Fatah che preoccupa gli israeliani. E difficilmente Obama – i cui sforzi di far ripartire il dialogo con i palestinesi sono falliti – potrà  spingere il premier ospite più di tanto. Ma se la storia non si fa con i sé, il senno di poi andrebbe però esercitato. E basta sovrapporre il calendario per scoprire che quando Barack, nel settembre scorso, lanciava il suo piano di pace, la Cia di Leon Panetta aveva già  individuato il covo di Bin Laden. E quando, dalla Tunisia all’Egitto alla Libia, il presidente vedeva avanzare le rivolte, stava già  preparando il blitz di Abbottabad. La storia è questione di punti di vista: ma dalla Casa Bianca, si sa, la vista è sempre stata particolare.

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