Il maestro reticente e il profeta inascoltato

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«Reticente» è un aggettivo che non si usa più, da parecchio tempo. E secondo i vocabolari, Moravia lo impiegava spesso. Così come Franca Valeri in un eccellente titolo, Bugiarda no, reticente, a proposito della sua infanzia, alcuni decenni fa. Oltre mezzo secolo fa, però, E. M. Forster approvò che intitolassi Il maestro reticente il resoconto di una nostra conversazione sul «Mondo» . Come erano gentili e forbiti; una volta. Notava di non sentirsi molto bravo, come intervistato, giacché preferiva parlare dei suoi libri, e non di se stesso. Ma cortesemente scriveva di avere «molto ammirato» il mio racconto gay Giorgio contro Luciano, uscito tradotto sul «London Magazine» . E chiedeva anche una copia del «Mondo» almeno ogni mese, per «rinfrescare» il suo italiano. Era già  sommessamente celebre da decenni, per l’altezza e l’azione della sua risoluta mentalità  spirituale e civile, che mai credette negli eroi, nei milionari, nei militari, nei leader, nelle religioni e negli imperi, nell’autorità  e nell’intolleranza, nell’ascetismo puritano o cristiano, o nella presunzione intellettuale, nelle frontiere fra uomo e uomo o tra razza e razza, nei sistemi educativi che producono «corpo ben sviluppato, e cuore sottosviluppato» … La spontanea etica di «scrittore politico che preferisce temi non-politici» , con un prestigio che «aumenta a ogni libro che non scrive» , stando sempre con ostinato stoicismo dalla parte dell’Umanità  e della Vita contro i pedanti, i bigotti, i noiosi… A ottant’anni passati, verso il 1960, veniva a Roma, stava all’Hotel Minerva, andava a Villa Adriana con amici inglesi, si pranzava e chiacchierava lì vicino, con qualche gin-and-tonic… Ora escono a Londra tre volumi di suoi appunti e diari inediti. Ma alcuni coltissimi amici romani, poco fa in viaggio per l’India, sono andati nelle famose grotte Marabar, dove una nervosa signorina forsteriana suppone di sentirsi palpata da un devoto dottore indiano. Le hanno fotografate, e trovate molto nere e molto lucide. ***Su un «TLS» recentissimo, appare una foto di E. M. Forster ed Eric Crozier mentre compongono il libretto Billy Budd di Britten: una chicca per chi ama le claustrofobie maschili con occasionali passioni e punizioni sulle navi da guerra, soprattutto con le discipline e gli sfoghi alla fine del Settecento. Billy è un mozzo bonazzone e bisteccone (e baritono) giustamente un po’ tonto. Capisce poco di ciò che gli capita. Che peccato non averlo mai visto interpretato (neanche in Dvd) dall’ideale Thomas Hampson, a noi rivelato (col tenorino Jarry Hadley) nella magnifica Bohème giovane del Vecchio Leonard Bernstein, anni fa a Santa Cecilia, nella vecchia sede. Ora Hampson fa piuttosto recital algidi, con Schubert e Liszt e Mahler alla Scala. ***«Non fare il gabbiano» diceva il rude marinaio Spencer Tracy al viziato bimbo Freddie Bartholomew, caduto in mare da uno yacht signorile e salvato da un barcone di pescatori, nella versione italiana del film Capitani coraggiosi. Voleva dire «Non fare il citrullo» , e dunque fu una battuta che piacque molto, nelle famiglie e nelle scuole. Ora però i gabbiani volano soprattutto nei cieli delle città  come Roma. E oltre che bellissimi devono anche essere cattivissimi. Tanto vero che gli altri uccelli sono quasi scomparsi. Divorati o spaventati dai gabbiani? C’era poi una signora bilingue che spiegava come evitare la cicogna (stork). «Swallow» ! Che vuol dire «cicogna» ma anche «deglutire» . ***A proposito di sinonimi, giacché riappaiono I due allegri indiani di J. Rodolfo Wilcock, si potrebbe rammentare che veniva spesso al «Mondo» , nel tardo pomeriggio, quando si leggevano i giornali stranieri e si chiacchierava. Ivi un’anziana signorina, gran traduttrice dall’inglese, spiegava l’origine britannica di quel cognome: «Will, volere… E dunque volere il cock» . «Parliamo d’altro» , interruppe un’altra signorina. ***Fastosa esecuzione, a Santa Cecilia, del monumentale War Requiem di Benjamin Britten, composto per la ricostruzione e riconsacrazione della cattedrale di Coventry, bombardata e distrutta dai tedeschi durante la guerra. Spontaneo dunque chiedersi: quanti nostri compositori, bramosi d’esservi eseguiti al più presto, composero alcunché per la ricostruzione della Scala, anch’essa distrutta dai bombardamenti anglo-americani nella medesima atroce guerra passata? Forse rimarrà  soltanto, dialettale ed effimera, l’esortazione di una marchesona locale alla servitù atterrita nelle cantine del quartiere del Carmine, caro a Gadda e a Giangiacomo Feltrinelli e a Livio Garzanti e a tanti altri: «Curagg, curagg, alla fin ghe darann la Corsica!» . ***L’esposizione dei libri russi al Salone torinese inevitabilmente rinvia alla memoria le grandiose mostre delle arti russe e sovietiche nei decenni estremi del Novecento. Innanzitutto le colossali mostre Paris-Moscow al Beaubourg parigino e Berlin-Moskau nel Martin Gropius-Bau berlinese. Grandi e piccoli artisti, c’erano tutti: dalla Grande Guerra alla Rivoluzione alle dittature prima e durante e dopo la Seconda guerra mondiale. Pittori, scultori, teatranti, poeti, musicisti, architetti, registi, letterati, fotografi. Costruttivisti, dadaisti, cubisti, attori e ballerine e cantanti che si fece in tempo ad applaudire dopo la guerra, come Gustaf Grà¼ndgens in Goethe e Marika Rà¶kk in rivista. E a Mosca, negli anni Sessanta, si replicava da decenni L’uccellino blu di Maeterlinck e Stanislavskij, sublime, nonostante chissà  quanti cambi generazionali di cast, dal lontano 1908, al Teatro d’Arte. Alla Taganka, una coetanea Turandot di Gozzi e Vachtà ngov. Scadente, o scaduta. Intorno una Madame Bovary in una ventina d’atti, Spettri di Ibsen come ritratti della salute, Cuba amore mio quale una West Side Story tropicale… From Russia alla Royal Academy londinese invece si proponeva di esporre le mitiche leggendarie collezioni acquistate dai famosi mercanti. Sergei Å chukin e Ivan Morozov nei periodici viaggi parigini alle gallerie Bernheim-Jeune e Durand-Ruel, o presso gli artisti direttamente. E qui c’era soprattutto da sorprendersi per l’occhio infallibile nelle scelte: non solo Manet e Monet e Picasso e Matisse e i forse più facili Gauguin e Renoir e Corot e Maurice Denis. Ma addirittura gli impopolari Cézanne e Van Gogh e Braque e Vallotton… Poi, si sono scatenate le sedi più illustri, nelle città  importanti o minori: da Milano a Venezia a Genova a Brescia a Prato a Los Angeles… con preferenze anche per i simbolisti, le arti sceniche, gli abiti rivoluzionari, i paesaggisti, naturalmente Diaghilev, e tutte le avanguardie, e i giocattoli… Meglio mirata, la mostra al Guggenheim berlinese sulle Amazzoni dell’avanguardia: Exter, Goncharova, Popova, Rozanova, Stepanova, Udaltsova. ***Riappare, come nuovissimo, dopo quarantacinque anni, Il padrone di Goffredo Parise, che abitava allora alla Camilluccia, con la prima moglie e un grosso fantoccio di pezza che presentava come Walter Benjamin (o come John Betjeman?). A pochi metri da Gadda. E si incontravano ogni mattina, uscendo, perché Gadda conservava l’antica abitudine di recarsi dal barbiere. Qualche volta l’ingegnere si impensierì, perché Goffredo andava alla posta con involti fallici sospetti. Goffredo gli spiegò che con certi nuovi formati delle riviste illustrate si potevano confezionare sotto guttaperca dei magnifici falli finti, voluminosi, da spedire alle madame più distinte e rilevanti della letteratura. Allora Gadda, inquietissimo, gli chiese di cambiare ufficio postale, «altrimenti potrebbero credere che li spedisco io» . ***Nelle Scorciatoie e raccontini di Umberto Saba, or ora riedite da Einaudi, un avvocato molto vecchio, molto abile, e molto antifascista anche nel tempo del fascismo, potrebbe ancora tentare una tremenda «Difesa di Mussolini» . «Voi non potete sapere cosa fosse in Italia la generazione che ha preceduto la sua. Fu una terribile generazione di vecchi. I quali una sola virtù avevano: essere inamovibili. Un solo compito: impedire ai giovani di occupare anche il più modesto (come si diceva) posto al sole» . E per finire, con «fissità  agghiacciante, un solo pensiero, una sola volontà : QUI DOVE SIEDO IO, NESSUNO ALTRO DEVE SEDERE, IN ETERNO» . Fu scritto nell’aprile 1945. ***Magari adesso, in epoca di ossessivi orecchini bisex anche su labbra e narici e sopracciglia, davanti alle coppie di ciliegie di stagione si potrebbero ricordare certe bimbe antiche? Per gioco e per civetteria, se le mettevano sulle orecchie.


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