Il Cavaliere ora teme la vendetta di Bossi “Una Caporetto, non ceda a governi tecnici”

by Editore | 17 Maggio 2011 7:30

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Preoccupato per il ballottaggio di Milano e Napoli, dall’esito quanto mai incerto. Ma soprattutto Berlusconi è ora in ansia per l’atteggiamento che terrà  il Carroccio, già  inquieto e percorso da una crescente voglia di autonomia dopo il fiasco della Moratti. «Con Bossi – ha ripetuto ieri il Cavaliere – ci sentiremo oggi per valutare a mente fredda i risultati, quando i dati saranno certi. Ma anche la Lega a Milano è andata sotto le aspettative, non penso che faranno colpi di testa». Insomma, nel ragionamento del premier la paura di una crisi di governo provocata dal Carroccio viene mitigata dalla considerazione che anche Bossi ha perso il voto dei milanesi, passando dal 14 per cento preso in città  alle ultime regionali al 9,5 per cento. Sta di fatto che i fantasmi del governo “tecnico” hanno ripreso forma nei discorsi del premier. Sa che la perdita del capoluogo lombardo non può lasciare inalterati i rapporti con il Senatur. Anche perché l’eventuale approdo di Pisapia a Palazzo Marino, significherebbe perdere quote rilevanti di potere reale: dalle banche alle potenti aziende municipalizzate. 

Nel quartiere generale di Arcore stamattina sono convocati i fedelissimi del Pdl per un vertice d’emergenza. Berlusconi farà  la sua dichiarazione ufficiale dopo averla limitata alla luce degli ultimi risultati. Ma ieri erano lo sconforto e la rabbia i sentimenti prevalenti. Un ministro di punta, quando nel pomeriggio chiama Arcore, riaggancia la cornetta e sussurra con un filo di voce: «È una Caporetto. Pisapia può vincere al primo turno». «Una Caporetto», ammette l’inquilino di Palazzo Chigi. Alla fine non sarà  così, ma il disastro per un momento si materializza davvero nel Pdl. Il premier ne ha per tutti. Ce l’ha con la Moratti, «che ha perso il 2 per cento con quell’uscita maldestra contro Pisapia». E ce l’ha anche con la Lega, «che ha puntato solo a distinguersi, a partire dalla Libia, dando l’impressione di una coalizione litigiosa». Ce l’ha con Formigoni, visto che nel Pdl gli hanno riferito che il governatore lombardo non si è impegnato al massimo in campagna elettorale. Il sospetto è che Cl abbia fatto votare solo i suoi candidati ma non il sindaco. «Io – si è sfogato Berlusconi in privato – oggi pago gli errori di tutti. Sapevo che Milano era difficile, ma mi sono sacrificato lo stesso. Il problema è che quando alzo la mia bandiera mobilito i nostri elettori, ma faccio andare al voto anche quelli della sinistra che mi odiano». L’unica soddisfazione è allora vedere «il fiasco di Fini», con Fli che «è diventato il terzo partito del terzo polo». E la «crisi» del Pd, «succube dei giustizialisti e degli estremisti». «Con questi risultati – osserva il Cavaliere – per Casini sarà  ancora più difficile allearsi con la sinistra. Come farà  a giustificare l’alleanza con i comunisti?». 
E tuttavia il timore nel quartier generale berlusconiano è che il disastro di Milano sia stato solo rimandato. A microfoni spenti un esperto del Pdl fa notare infatti che la Moratti ha pescato in tutto il suo bacino, mentre Pisapia può ancora contare sul 3,2 per cento del grillino Calise. «E anche i voti del terzo polo – ragiona la fonte di via dell’Umiltà  – ormai sono voti dati contro Berlusconi, non stanno certo a sentire Ronchi e Urso». Insomma il premier stavolta dovrebbe davvero compiere «un miracolo» per ribaltare una sconfitta annunciata. Già  ieri ha iniziato a mettere a punto la strategia del contrattacco. «I milanesi – dice il Cavaliere – ci hanno mandato un segnale chiaro. Ma non posso credere che i moderati vogliano farsi governare da Di Pietro, Vendola e De Magistris». Al di là  della propaganda elettorale, Berlusconi dovrà  anche cercare di mettere il silenziatore sulle divisione interne al Pdl, dove puntualmente è partita la resa dei conti. Le colombe puntano infatti il dito contro i falchi, che sarebbero all’origine del fallimentare risultato di Milano. Viene messa sul banco degli imputati la coppia Santanché-Sallusti, con la propaggine Lassini (adottato dal Giornale). E anche Denis Verdini dovrà  difendere il “suo” Pdl dagli attacchi. Torna così a farsi sentire Claudio Scajola, rimasto volutamente in silenzio durante la campagna elettorale. «Queste – spiega l’ex ministro – vanno considerate come elezioni di medio termine, in cui si sono scaricate molte insoddisfazioni di tipo diverso, ha pesato anche la crisi economica e la gente ha suonato un campanello d’allarme. Ma credo e spero che sia tutto recuperabile: certo bisogna capire come e dove correggere gli errori, senza scaricare le colpe sugli altri. Sapendo naturalmente che la situazione è difficile». Comunque «anche la Lega ha perso», mentre «c’è il dato positivo del Sud, che necessita quindi di una maggiore attenzione nello scenario nazionale». Berlusconi? Scajola lo salva: «Se non si fosse candidato lui a Milano sarebbe andata anche peggio». La strategia per il futuro, secondo l’ex ministro, deve prevedere una correzione di rotta, con meno Lega e più moderazione. Meno Bossi e più Casini. «Il nostro traguardo deve essere quello di unire le forze moderate e creare anche in Italia il partito popolare europeo». 
In ogni caso la sensazione è che da ieri tutto sia cambiato, tutto si sia rimesso in movimento. Il mito dell’invincibilità  del premier viene messo in discussione persino dentro il Pdl, dove in molti si chiedono se non sia davvero l’inizio della fine. Anche Adolfo Urso, che pure si batte perché Fli appoggi la Moratti al ballottaggio, si dice certo che la fase di Berlusconi si sia chiusa irrimediabilmente: «È finito, tra i miei amici del Pdl – confida – c’è sgomento. Non solo non sarà  lui il candidato premier nel 2013, ma ho qualche dubbio che sarà  ancora a palazzo Chigi fra 3 mesi. Per questo dobbiamo stare nel centrodestra, da ieri nulla sarà  più come prima».

 

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