by Editore | 14 Maggio 2011 7:05
La «banca dei villaggi» , questo significa il nome, che fondò per finanziare con mini prestiti le attività delle famiglie (soprattutto delle donne) colpite dalle inondazioni del 1974 e dalla miseria endemica, diventata un vero istituto di credito nel 1983, poi un colosso. «Lascio per evitare che la banca venga distrutta» , ha scritto Yunus, 70 anni, rassegnando le sue dimissioni «volontarie» . In realtà la Corte Suprema di Dacca lo obbliga a farlo: licenziato il 2 marzo dalla Banca centrale (che considera la Grameen un istituto pubblico) per aver superato i limiti di età fissati a 60 anni, Yunus aveva fatto ricorso una prima volta, perdendo, poi una seconda, con lo stesso esito. «Spero che la Grameen continui le attività , mantenendo l’indipendenza e il suo carattere» , ha aggiunto Yunus, affidando al braccio destro Nurjahan Begum l’incarico di direttore generale della banca, che conta 1,2 miliardi di dollari in depositi, poco meno in crediti erogati a 8,3 milioni di donne che sono anche azioniste. Nella nota d’addio nessun commento su come si è arrivati alla «resa» se non un invito a vigilare sull’ «influenza politica» sull’istituto. Ma il retroscena non è certo un segreto: tra i tanti, ne ha parlato recentemente Nicholas Kristof, premio Pulitzer ed editorialista del New York Times: «Qualcosa di molto strano sta succedendo in Bangladesh, un attacco orchestrato su più fronti contro Yunus. Lo Stato sta tentando l’assalto alla Grameen?» . Kristof racconta della disinformazione seminata dai media nazionali contro il Nobel, delle accuse «false» di corruzione, diffamazione e quant’altro, alimentate anche da un documentario della tv norvegese nel 2010 in cui si sosteneva che il banchiere dei poveri s’era arricchito intascando aiuti europei destinati alla banca (accusa da cui fu prosciolto già nel 1998). E in cui si attaccava il microcredito, alla luce soprattutto degli scandali emersi in società emule della Grameen ma non a lei collegate, in India e in Messico. In realtà , concordano i tantissimi sostenitori di Yunus e gli esperti internazionali di Bangladesh, l’ostilità dell’establishment si spiega con due ovvie ragioni. La minaccia politica rappresentata dall’economista, che nel 2007 manifestò l’intenzione di creare un suo partito per combattere la corruzione dei leader, ipotesi accantonata ma ancora temuta dalla potente e controversa premier Sheikh Hasina Wazed. E il «tesoro» che rappresenta la Grameen, oggi attiva nella telefonia mobile, nella produzione di pannelli solari e di altri beni di consumo, in cui lo Stato ha il 25%dei diritti di voto ma una quota ridotta ultimamente solo al 3,4%. Ieri la domanda che Kristof poneva ha già trovato risposta: il ministro delle Finanze di Dacca, A. M. A. Mutith, ha annunciato che la Grameen sarà «riformata» . Le nove donne dei villaggi nel board dell’istituto (composto da 12 membri) saranno sostituite da «persone competenti» , la quota azionaria dello Stato sarà aumentata, le tante attività sociali della banca «riviste» , un nuovo direttore nominato dal governo entro tre mesi. In sintesi: l’intero modello della Grameen, copiato, celebrato e premiato da quasi 30 anni, sarà smantellato. Le speranze che Yunus trovi a questo punto «una soluzione amichevole» con la sua premier, come lui stesso ha più volte auspicato, sembrano ormai davvero poche.
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