I venerdì siriani e il muro di Bibi. Un doppio nodo per Obama

by Editore | 21 Maggio 2011 6:44

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Anche perché gli Usa hanno deciso di sostenere la sfida che si leva dal mondo arabo. In Siria c’è ormai un rito: immutabile e funebre. Il giovedì il regime assicura che la protesta è finita; il venerdì, dopo la preghiera, gli agenti sparano sui dimostranti, e a sera si contano le vittime; il sabato, si completa il macabro bilancio, sommando i morti del venerdì ai caduti durante i funerali. Non servono i duri moniti: «Assad faccia le riforme o se ne vada» , ha detto Obama. Paiono sterili anche le minacce di un embargo della Ue, con la quale Damasco era vicina a firmare un accordo di partenariato. Nulla. Sorda e ostinata, la Siria non ha intenzione di cambiar strada. I manifestanti scendono in piazza, e contemporaneamente si muovono i carri armati, per prepararsi al rito della repressione. Giovedì sera, a una radio dell’Unione europea, Mishab Adhab, deputato sunnita libanese di Tripoli, città  vicina al confine siriano, raccontava che il governo di Assad aveva annunciato il ritorno alla normalità , ma aggiungeva scettico, vivendo vicino alla frontiera, che numerose persone impaurite continuavano ad attraversarla. Il regime sembra avvitato su se stesso: certo che il mondo, alla fine, capirà  che Damasco è vittima di un complotto. Assad, partito 11 anni fa con volontà  riformatrice, sembra ostaggio del suo clan. Se gli alauiti possono contare sui servizi di sicurezza, più difficile è controllare l’esercito. Non sono rari i casi di ufficiali e soldati che si sono rifiutati di sparare alla folla. È pur vero che la brigata più feroce è quella guidata dal fratello del presidente, ma ormai anche ai vertici del potere c’è chi dice (in privato ovviamente) che sia necessaria qualche correzione di rotta. Il sanguinoso rituale insomma è destinato probabilmente a inasprirsi e non soltanto per le macabre scoperte di fosse comuni. La novità  è che la rivolta a scacchiera si sta trasformando in una gigantesca onda. Chi scende in piazza sa che potrebbe morire, ma non ha paura. Nel settimanale rito siriano c’è anche il coraggio di chi sfida le armi del potere a mani nude. 

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