I sospetti del Senatur su Cl. “Silvio si sta giocando tutto”

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Il voto di Milano – tradizionalmente vittorioso per il centrodestra – si è improvvisamente trasformato nel momento delle scelte. «La situazione – ripete il Senatur ai big del Carroccio – non è facile. Noi ci impegneremo fino al 30 maggio, ma la vedo complicata».

La tensione è altissima. Il summit convocato nella sede di Via Bellerio assume contorni drammatici. Il leader lumbard invoca la calma: l’ipotesi di una rottura con il premier non può essere presa alla leggera. Ma l’incubo di tornare nel limbo della marginalità  si materializza come uno spettro. Il Senatur fuma il sigaro e sfoglia i dati di tutte le elezioni locali. Davanti a lui ci sono Calderoli e Maroni, Cota e Giorgetti, Reguzzoni e Renzo Bossi. La sconfitta milanese è qualcosa di più di un semplice passo indietro. Può mettere in crisi il sistema di potere che negli ultimi vent’anni ha governato il cuore industriale del Paese. «Sarebbe la fine di un ciclo». E proprio per questo rischia di determinare scelte radicali in quello che Berlusconi ha sempre definito «l’alleato più fedele». Perché a quel punto «la crisi sarebbe alle porte». 
Una svolta che Bossi non vorrebbe compiere ma teme possa diventare una opzione obbligatoria: «Possiamo ancora rimanere lì?». Del resto, il risultato del centrodestra è inaspettato. Lo ha spiazzato. Il suo “fiuto” questa volta ha tradito. E ora l’analisi è impietosa. E sebbene ci sia stato un rimpallo di responsabilità  tra i quadri leghisti sulle scelte delle candidature, le accuse del Senatur sono rivolte in primo luogo al Pdl e al Cavaliere. «È crollato il Popolo delle libertà  e ci ha trascinato verso il basso», è la sua analisi. Quasi per sollevare l’umore della sua truppa, cita alcuni esempi: a Busto Arsizio lo share della Lega si assesta al 27,9% e cinque anni fa era al 13. A Varese viene superato il 24% e nel 2006 si toccava il 20%. A Gallarate, dove il candidato lumbard non va nemmeno il ballottaggio, il dato della lista è però del 22 per cento contro il 10 delle precedenti comunali. E persino il 9% a Milano viene letto in controluce: il Carroccio perde quasi 6 punti rispetto alle regionali, ma ne guadagna un paio nel confronto con le comunali. «Il problema – ripete allora ai suoi fedelissimi – non è la nostra tenuta. Noi, dopo la vicenda immigrati, potevamo essere travolti. Ma non è stato così. Il problema è il Pdl». È l’asse tra la Lega e il Pdl, l’abbraccio tra Bossi e Berlusconi.
L’interrogativo del “capo” allora diventa un rovello nella seduta-fiume convocata nel bunker milanese. Tutti si rendono conto che questo sta diventando il “momento della verità “. «Se si perde a Milano – è la sua analisi – Berlusconi non avrà  solo contro i magistrati, ma in Parlamento verranno meno i Responsabili, il Quirinale non potrà  che fare il suo dovere e via dicendo. Per risollevarsi dovrebbe fare la riforma fiscale, quella costituzionale, rilanciare l’economia. Ma non sarebbe in grado di farlo». E per rendere tutto ancora più drammatico cita il piano di Tremonti presentato all’Ue che prevede tagli per 8 miliardi quest’anno, il prossimo e nel 2013. Non solo. «Tutti gli chiederanno di dimettersi e lui non lo farà . In quella situazione rischiamo di fare la fine degli ascari che difendono il forte e tra due anni torniamo al 4 per cento». Una prospettiva che terrorizza tutto lo stato maggiore padano.
Bossi chiede allora di lavorare «ventre a terra» per cercare di ribaltare la situazione a favore della Moratti. Per evitare così la scelta più traumatica. In caso di successo, allora, «potremo organizzare il rilancio e le riforme. Solo così ha senso restare. Altrimenti per noi è difficile reggere». Anche perché tutti i big leghisti sanno che la base è una pentola in ebollizione. Rischia di scoperchiarsi con un boato. Ma recuperare a Milano è «complicato». Tra i potentati meneghini – anche Berlusconi – già  circola un sondaggio che vede volare Pisapia. «Silvio – dice il Senatur ai suoi – deve tirare fuori qualcosa dal cilindro. Non può dire ora che è un voto locale».
Eppure c’è un altro aspetto che fa infuriare il Carroccio. La lotta intestina nel Pdl. Il loro dito indice è puntato contro il Governatore Formigoni e contro Cl, accusati di aver votato contro Berlusconi. «Quello – è il sospetto di Bossi riferendosi al presidente lombardo – pensa di poter approfittare della crisi interna al suo partito». Accuse che un po’ tutti confermano e che nello stesso tempo fanno salire ulteriormente la tensione e la preoccupazione per un futuro incerto. La lista degli addebiti verso il Pdl si allunga: ognuno dei presenti al vertice riferisce un episodio che conferma l’analisi del Senatur. E a questo punto la memoria corre a sei mesi fa. Quando, dopo lo strappo di Fini, si aprì la prima riflessione nella maggioranza. «Avevamo detto a Silvio che doveva preparare l’alternativa a se stesso. Doveva indicare un nome. E invece ha scommesso su stesso pensando al 2013. Ma così o vince tutto o perde tutto».
Dopo il 30 maggio, dunque, l’equilibrio della politica potrebbe d’un tratto cambiare. La Lega sa bene che a giugno ogni crisi di governo non può portare alle elezioni anticipate. «Ma nessuno – avverte il leader lumbard – può dire quale sarà  la soluzione. Ci chiederanno l’allargamento a Casini e ci parleranno di un governo istituzionale. Noi aspetteremo e vedremo».

 


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