I signori del nucleare s’inchinano «Aiuti di stato» per non fallire

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  Per Masataka Shimizu, presidente dell’azienda elettrica giapponese Tepco, l’ingresso nella residenza ufficiale del primo ministro ha il valore di un passaggio sotto le forche caudine. Qui si è tenuto ieri l’incontro tra i vertici di Tepco, il segretario di gabinetto Yukio Edano e il ministro dell’Economia Banri Kaieda. Con un profondo inchino, Shimizu ha consegnato nelle mani di quest’ultimo una busta contenente una richiesta ufficiale di aiuto economico per fare fronte agli immensi costi derivanti dalle riparazioni al sito di Fukushima Daiichi e ai risarcimenti che l’azienda dovrà  versare agli abitanti dell’area. Per Tepco l’inchino di Shimizu ha il valore di una capitolazione: i «signori dell’atomo» sono in questo modo costretti ad accettare le condizioni poste dal governo su tariffe e futuri sviluppi della rete energetica.
È la prima volta che l’azienda si inchina di fronte al potere politico. Grazie a una fitta rete di contatti, Tepco ha saputo fino a oggi destreggiarsi tra scandali di varia entità  mediante rimpasti «cosmetici» del proprio gruppo dirigente. Così è stato nel 2002 quando vennero a galla 29 casi di incidenti alle strutture di tre centrali nucleari e prontamente insabbiati dalla dirigenza. Così è stato anche per l’incidente alla centrale di Kashiwazaki, da molti visto come un omen di quanto accaduto a Fukushima.
La rete di Tepco ha una diffusione capillare che si estende dalle aree rurali ove sorgono le centrali ai palazzi del potere di Tokyo. Fin dagli anni ’60 l’azienda ha saputo ingraziarsi le amministrazioni locali, affiancando alla costruzione dei reattori progetti infrastrutturali come strade, parchi e impianti sportivi e promettendo la creazione di migliaia di posti di lavoro. Le forti resistenze della popolazione locale – in parte ancora traumatizzata dal ricordo di Hiroshima – hanno ceduto così il passo a un’accondiscendente indifferenza.
Fino all’11 marzo di quest’anno il «meccanismo del consenso» ha funzionato alla perfezione. Poi qualcosa si è rotto. Una rabbia lungamente repressa si è impossessata degli abitanti dell’area di Fukushima. Si parla di dipendenti di Tepco schiaffeggiati in pubblico, mentre nei forum della rete i pochi sostenitori dell’azienda subiscono autentici linciaggi mediatici.
Nell’avvelenato clima di questi giorni, i dipendenti di Tepco fanno sempre più quadrato intorno all’azienda. Nonostante le conclamate deficienze nel sistema di profilassi anti-radiazioni, l’annunciato taglio del 20 per cento dei salari e l’evidente crisi della leadership, i cosiddetti Tepco-man non abbandonano le proprie posizioni.
«Tepco ha da sempre garantito un impiego sicuro, salari molto alti e un’ottima previdenza sociale», spiega il giornalista Yoshino Toyama. Molti dipendenti sono inoltre letteralmente «cresciuti» tra reattori e turbine: Tepco gestisce infatti un apparato educativo che accompagna i dipendenti dalle scuole superiori fino alla pensione.
Il meccanismo dell’outsourcing e l’elevata presenza di operai di aziende appaltatrici nelle squadre di controllo delle centrali si sta tuttavia facendo sentire. Sono spesso loro a parlare con la stampa e a divulgare notizie riguardanti l’inefficienza dei sistemi di prevenzione in uso nelle strutture. Il «veterano» Kiyokazu Araki, la cui vita è stata distrutta dal cataclisma e dall’evacuazione forzata, oggi racconta: «Mi hanno sempre detto che il nucleare era assolutamente sicuro; ora la mia fiducia è in pezzi».


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