I malumori dei vescovi contro il Pdl “Il cattolico vota per il bene comune”
CITTA’ DEL VATICANO – Che il vento stia cambiando, che gli umori della Chiesa siano ormai insofferenti verso il governo Berlusconi, lo si coglie perfettamente nei corridoi della Conferenza episcopale italiana che nell’Aula Paolo VI, in Vaticano, celebra la sua Assemblea generale.
«Siamo al “cupio dissolvi”», mormora Marco Tarquinio prima che i vescovi facciano la loro uscita dalla sala sinodale. E forse non è un caso che il direttore di Avvenire pronunci qui, sebbene a bassa voce, la frase biblica di San Paolo enunciata nella lettera ai Filippesi sul disfacimento di sé stessi.
E’ lo stesso Tarquinio ad aver dato la linea ai vescovi con un intervento durissimo sul suo giornale a difesa del cardinale arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, dopo l’attacco del direttore del Giornale, Alessandro Sallusti. E gli episcopi, che vestiti in semplice clergyman escono alla spicciolata dalla riunione della Cei, e hanno Avvenire in mano, discutono l’articolo del loro quotidiano. E lo approvano.
«Una cantonata gigantesca – aveva scritto Tarquinio – dal punto di vista morale e sul piano politico». Un pezzo che lo ha lasciato «letteralmente senza fiato», scritto «menando fendenti ingiusti e scriteriati». «Parole sante», commenta un vescovo lombardo mentre sta per cominciare la conferenza stampa di monsignor Mariano Crociata, il segretario generale della Cei. Per due volte i giornalisti sono costretti a porre a Crociata la domanda su come si schiererà la Chiesa italiana nei ballottaggi delle amministrative di domenica prossima. Il segretario generale pare in imbarazzo. Poi risponde: «La comunità cristiana non deve farsi partigiana in un senso o nell’altro. I credenti esprimono le loro convinzioni dentro una visione della fede cristiana che guarda al bene comune e non come interesse di parte. E dunque esprimono il voto nelle elezioni politiche o amministrative secondo la loro coscienza senza coinvolgere la comunità cristiana, cercando di rappresentare il bene comune dell’uomo nell’uno o nell’altro schieramento».
Parole equidistanti, come è giusto che sia. Ma la decisione palese di non schierarsi, quando sovente la Chiesa in passato non ha nascosto le proprie simpatie per il centrodestra, valgono quasi quanto un’indicazione di voto. E il malumore che cresce tra i vescovi all’uscita dall’assemblea lo certifica come una dichiarazione di sfiducia nei confronti dell’attuale maggioranza.
Poche centinaia di metri più in là , nella sala stampa della Santa Sede dove ha appena concluso la presentazione del prossimo Incontro mondiale delle Famiglie a Milano, il cardinale Tettamanzi ha già espresso con estremo fair-play il suo punto di vista. A Roma è anche monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo e presidente del Consiglio Cei per gli Affari giuridici, che richiesto di un commento a proposito dei luoghi di culto – l’imputazione nei confronti di Tettamanzi è di «aver distrutto la diocesi» con il suo liberalismo religioso – dice che non c’è alcuna riserva: «Lamentiamo che non sempre ci vengano riconosciuti i diritti di avere anche noi dei luoghi di culto dove li chiediamo. Ma non per questo possiamo ripetere qui quell’errore di principio e di carattere umanitario. Chiunque ha la libertà di professare la propria fede e ha il diritto di professarla nei luoghi che gli sono consoni».
In sottofondo, nell’aula sinodale, riecheggiano ancora le parole pesanti pronunciate dal cardinale presidente della Cei, Angelo Bagnasco, il primo giorno dell’assemblea, nella sua prolusione, quando ha parlato di politica «inguardabile», «ridotta a litigio perenne», «noiosa», «dramma del vaniloquio», «spirale dell’invettiva» che non prevede assunzioni di responsabilità . «La gente è stanca di vivere nella rissa – aveva scandito Bagnasco – e si sta disamorando sempre di più». I vescovi italiani, che hanno applaudito convinti per quattro volte, lo sottoscrivono oggi per intero.
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