Gli spagnoli chiudono l’era Zapatero
MADRID — Nessuna sorpresa: con oltre due milioni di voti di vantaggio, il Partito popolare si prende tutto (o quasi) in Spagna, anche le ultime roccaforti socialiste e le deboli speranze del capo di governo, José Luis Rodràguez Zapatero, ormai rassegnato a lasciare entro qualche mese la guida di un Partito socialista umiliato dalla destra e perfino dalla sinistra. A scrutinio completato, il Pp si è aggiudicato il 37,5%dei voti, il Psoe il 27,8%: erano rispettivamente al 34,92%e al 35,62%alla tornata del 2007. Dopo 28 anni di incontrastato monopolio il Psoe è costretto a cedere il timone della sua comunità autonoma più fedele, la Castiglia-La Mancia: è il trofeo della vittoria. E per strappargliela, Mariano Rajoy, leader del Pp, ha messo in campo la sua numero due, Maria Dolores de Cospedal. Cade anche Barcellona. Dopo 32 anni di egemonia, i socialisti catalani non la consegnano ai popolari, ma ai nazionalisti di centrodestra di Convergencia i Unià³ che, già sei mesi fa, hanno sottratto al Psc il governo della Catalogna. I socialisti non riescono a salvare Siviglia e perdono la maggioranza nel Principato delle Asturie. Anche l’Estremadura, da sempre socialista, passa al Pp. A rendere ancora più dolce la rivincita di Rajoy, dopo due brucianti sconfitte consecutive contro Zapatero alle politiche, c’è il trionfo, anche se scontato, a Madrid, dove la maggioranza dell’elettorato ha confermato il suo sostegno al sindaco Alberto Ruiz-Gallardà³n e alla presidente regionale Esperanza Aguirre. Zapatero ieri notte si è felicitato con gli avversari, ammettendo di «aver chiaramente perso» , ma scartando l’ipotesi di elezioni politiche anticipate. Non conta che queste siano elezioni amministrative, celebrate per rinnovare 13 Parlamenti regionali (su 17), 8.116 Consigli municipali e i governi di due città autonome, Ceuta e Melilla: mancano solo nove mesi alle elezioni generali e questo risultato ha il categorico valore di un verdetto nazionale sugli ultimi sette anni di governo socialista. Nessuno dei due grandi avversari, popolari e socialisti, lo nega. È la prima chiamata generale alle urne di 35 milioni di elettori da quando la crisi economica, iniziata nel 2008, ha devastato le ambizioni e il recente benessere del Paese, lasciando quasi 5 milioni di disoccupati, tra i quali il 44%dei giovani sotto i 30 anni. È la prima consultazione a livello nazionale da quando Zapatero ha annunciato, il 2 aprile scorso, che non si candiderà per la prossima legislatura. Gli spagnoli non si sono affatto astenuti, anzi l’affluenza alle urne oltre il 66%è stata superiore a quella della scorsa occasione: l’invito a «non votarli!» lanciato almeno inizialmente dagli «indignados» non è stato ascoltato. Ma è anche possibile che l’irruzione dei ribelli alla Puerta del Sol di Madrid, e in un altro centi- naio di piazze spagnole, abbia ottenuto, al contrario, l’effetto di attizzare l’interesse politico per le consultazioni, proprio nel rush finale di una campagna elettorale tutto sommato piuttosto noiosa. A beneficiare di questa inaspettata politicizzazione è stata probabilmente la sinistra radicale, coalizzata in Iziquierda Unida e passata dal 5,4%al 6,3%. c’è stato anche un incremento, rispetto al 2007, di schede bianche (dall’ 1,9 al 2,5%) e nulle (dall’ 1,1 all’ 1,7%)): segno che il piccolo, pacifico esercito del «15 M» , costituitosi appunto il 15 maggio contro i partiti, le banche e i poteri forti, non ha granché influito sulle scelte elettorali degli spagnoli, ma ne interpreta qualche disillusione sul sistema politico.
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