Giustizia universale

by Editore | 27 Maggio 2011 6:50

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E se Al-Bashir per ora è comodamente al riparo da ogni arresto, Gheddafi invece fugge sotto le bombe. Da Norimberga ad oggi, i vertici politici e militari di paesi che commettono orrende atrocità  non hanno più scampo. L’arresto è anche una grande vittoria per l’Unione europea, che aveva posto come condizione per l’accesso della Serbia l’arresto di tutti i serbi latitanti, così mostrando di ritenere che una delle condizioni per far parte della Ue è il rispetto del diritto e della giustizia. Ma l’arresto segna anche una vittoria per la nuova dirigenza politica della Serbia: anzi, costituisce solo la punta dell’iceberg, perché da qualche anno la Serbia ha dimostrato di essere capace di processare i propri cittadini per crimini commessi contro musulmani e croati nel 1992-95, ha dimostrato cioè di aver raggiunto la maturità  di una democrazia che si basa sulla supremazia del diritto e l’attuazione dei principi di giustizia.
L’arresto di Mladic pone però tre problemi principali. Anzitutto, come tutelare il suo sacrosanto diritto alla “presunzione di innocenza”, visto che, primo, all’Aja tanti testimoni in processi, ora terminati, contro altri generali subordinati a Mladic, lo hanno chiamato in causa nelle loro deposizioni, e, in secondo luogo, esiste una ricca documentazione anche fotografica sui misfatti di cui è imputato? La giustizia deve essere equa ed imparziale e certamente i giudici dell’Aja ignoreranno le accuse solo mediatiche e prenderanno nel debito conto tutte le prove a discarico che gli avvocati di Mladic saranno capaci di produrre. Il suo processo potrebbe avere una grande importanza per la storia di quel periodo buio della ex Jugoslavia, illuminando tanti fatti ed episodi rimasti nell’ombra.
Il secondo problema è che il processo durerà  diversi anni, ritardando così la chiusura del Tribunale per l’ex Jugoslavia, originariamente prevista per il 2014. Il processo sarà  lungo, perché la difesa avrà  bisogno di almeno un anno per esaminare tutta l’enorme documentazione raccolta dalla procura del Tribunale. Seguirà  il dibattimento, che durerà  per lo meno tre anni, vista la quantità  di imputazioni mosse contro Mladic e il numero elevato di testimoni che le parti vorranno convocare. Ma la lunghezza del processo e il suo costo finanziario enorme costituiscono lo scotto che bisogna pagare, se si vuole che la giustizia internazionale si ispiri a criteri rigorosi ed equi.
Il terzo problema è che quasi certamente Mladic, nel difendersi, abbraccerà  la “strategia della rottura” teorizzata, per tutti i processi che hanno una dimensione politica, dal famigerato (ma assai intelligente) avvocato francese Jacques Vergès, che ha difeso personaggi come il nazista Klaus Barbie, il terrorista venezuelano Carlos e l’ex leader dei Khmer rossi Khieu Samphan. Una strategia che consiste nel non entrare nel merito delle accuse rivolte dai pubblici ministeri, ma nel contestare la legittimità  e la legalità  del tribunale, nel proclamare che esso è selettivo e parziale, perché si occupa solo dei crimini commessi nell’ex Jugoslavia e non, ad esempio di quelli perpetrati in Iraq o in Afghanistan, e nel difendere i principi ideologici che erano alla base del nazionalismo serbo e serbo-bosniaco, fattore scatenante di tutti quei massacri. Spetterà  ai giudici dell’Aja rintuzzare questa strategia e riportare il dibattimento sul terreno delle imputazioni specifiche e delle prove. Compito non facile, come è dimostrato da quel che avvenne nel processo contro Milosevic e di quel che sta accadendo nel processo in corso all’Aja contro Karadzic, che contesta sistematicamente il Tribunale.
Un’ultima considerazione. Quel che è avvenuto ieri conferma che la società  internazionale è mutata negli ultimi decenni. Prima si imperniava su Stati sovrani, ciascuno teso a difendere i propri interessi economici, politici e strategici. Non esistevano valori universali che accomunassero tutti gli Stati. Ora invece ci stiamo orientando verso una vera comunità  internazionale, in cui ciascun soggetto può bensì perseguire i propri interessi, ma deve anche rispettare taluni valori essenziali (pace, rispetto dei diritti umani, giustizia) valori che istituzioni internazionali quali l’Onu o, a livello regionale, il Consiglio di Europa e l’Unione europea si incaricano di salvaguardare. Certo, siamo ben lontani dalla realizzazione piena di quei valori, ma la strada imboccata è quella giusta. Diamoci dunque tutti da fare per seguirla.

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