Giddens: “È un ritorno alla socialdemocrazia ma sull’immigrazione cerca risposte nuove”
LONDRA – «Il Blue Labour è un primo passo per rinnovare i partiti progressisti, riscoprendo qualcosa delle sue tradizioni più nobili, innovando in altri campi, ma c’è ancora molto lavoro da fare». Così lo giudica Anthony Giddens, il sociologo che ha inventato la Terza Via, l’idea riformista che portò al potere Tony Blair in Gran Bretagna. Ex-rettore della London School of Economics, membro della camera dei Lord, autore di saggi tradotti in tutto il mondo, Giddens analizza in questa intervista a Repubblica gli elementi positivi e le lacune della nuova svolta.
Professor Giddens, il Blue Labour è l’evoluzione della sua Terza Via? È la Quarta Via?
«È un programma ancora vago, che contiene al suo interno diverse istanze e risposte incomplete. Da un lato punta a conservare o meglio a recuperare alcune tradizionali forme dell’identità socialdemocratica: in questo senso rappresenta un collegamento con la base laburista del passato, che si sente minacciata in un mondo di trasformazioni troppo radicali e in parte dimenticata dal proprio partito. D’altro canto è anche uno sguardo verso il futuro, alla ricerca di nuove formule, mettendo in discussione sia il mantra del liberismo che risolve tutti i problemi, predicato dal New Labour di Blair, sia quello che debba essere sempre e comunque lo stato a risolvere tutto».
È un atto di accusa verso il blairismo, e di conseguenza anche verso la Terza Via di cui lei è stato l’ispiratore?
«Attenzione, perché il New Labour di Blair e la Terza Via non sono la stessa cosa, non coincidono perfettamente. La Terza Via ha influenzato in particolare la prima fase del blairismo, tra il ‘94 quando Blair diventò leader del Labour e il ‘97 quando vinse le sue prime elezioni, in cui il Partito laburista cominciò a cambiare, a togliersi di dosso slogan e concetti del socialismo vecchia maniera per guardare con occhi nuovi una società che si era trasformata. Poi, nella seconda fase, il New Labour ha avuto talvolta una visione troppo semplicistica della modernizzazione, per esempio ritenendo che il capitalismo possa autoregolarsi da solo con effetti comunque positivi».
Un altro punto chiave del Blue Labour sembra una diversa lettura del problema dell’immigrazione.
«È il riconoscimento che certe resistenze o paure davanti all’immigrazione, al fenomeno che sta trasformando il mondo globalizzato, non sono frutto di pregiudizi, discriminazioni razziali, xenofobia, ma di una perdita di identità e di una preoccupazione economica che sono legittime e a cui un partito progressista deve saper rispondere».
È anche una risposta alla “Big Society”, il progetto dei conservatori di David Cameron per rispondere con il volontarismo ai tagli al welfare imposti dal deficit, dalla crisi, da un mondo avviato ad avere troppi pensionati e non abbastanza lavoratori?
«Sicuramente sì. C’è dietro l’idea che il partito laburista, anche negli anni di Blair, abbia dato troppa importanza allo stato come risolutore di tutti i problemi e che proprio la sinistra possa ritrovare nella sua tradizione di solidarietà sociale, di cooperazione, di mutue e associazionismo, una risposta ai limiti imposti dalla crisi allo stato assistenziale. Ma non è un concetto che io condivido in pieno. Se vuoi regolare il mercato, innanzi tutto, hai bisogno dello stato. E in secondo luogo sarebbe ingenuo o ipocrita pensare di sostituire il welfare con il volontarismo e lo spirito di solidarietà . È vero, questi sono valori importanti della tradizione della sinistra ed è un bene se si possono recuperare, ma non possono diventare una risposta a tutti i mali della società ».
In conclusione cosa manca al Blue Labour per diventare davvero una nuova via capace di riportare al potere i progressisti?
«Per cominciare manca di proposte sulle questioni ambientali e energetiche: non si può pensare al futuro senza considerare il cambiamento climatico e le questioni dello sviluppo sostenibile. Più in generale, l’idea del Blue Labour è un primo passo, un tentativo di rinnovare il centro-sinistra, ma ancora incompleto, parziale. A mio parere bisognerà continuare a lavorarci».
Related Articles
.Il Riarmo della Cina Mette Paura al Mondo
Il Giappone nei giorni scorsi aveva pubblicato i nomi di 39 isole e isolette, alcune rivendicate dalla Cina. Poi è toccato a Pechino replicare battezzando a sua volta 71 isole, alcune rivendicate dal Giappone. Una guerra dei nomi aggressiva nelle forme e innocua nei fatti tra due Paesi che continuano a non capirsi.
Irregolarità in aula sospeso il processo al generale Mladic
Procedimento rinviato a tempo indeterminato
Alleanze criminali
L’Ue, alle prese con la crisi dei migranti, e gli Usa hanno da tempo deciso di assegnare un ruolo risolutore della crisi a Turchia e Arabia saudita, i baluardi militari ed economici dei nostri interessi