Fessenheim fa litigare tutta Europa una Fukushima a soli 500 km da Milano

by Editore | 31 Maggio 2011 6:43

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FESSENHEIM (STRASBURGO) – Camminando lungo il canale d’Alsazia, i due reattori sembrano giganteschi pentoloni appoggiati sull’acqua. Sui prati appena tagliati pascolano le mucche, un paesaggio quieto e impassibile. Eppure intorno a Fessenheim c’è grande agitazione. Da mesi la più vecchia centrale nucleare di Francia è nel mirino. Non dei terroristi, come narrava già  un episodio dell’ispettore Callaghan interpretato da Clint Eastwood nel lontano 1976, ma degli ambientalisti che per la prima volta sentono di essere a un passo dal traguardo.

«Qui tutto è cominciato, qui tutto finirà » è scritto su uno striscione appeso davanti alla prefettura di Colmar, tra le città  coinvolte nella protesta. L’incubo Fukushima è arrivato lungo il Reno. Cortei, ricorsi, sit-in, scioperi della fame, petizioni e mozioni. E ora le vicine Svizzera e Germania che dicono addio al nucleare. “Fermer Fessenheim”, chiudere Fessenheim, è il martellante slogan. «La pressione popolare cresce ogni giorno, Sarkozy non potrà  affrontare l’imminente campagna elettorale senza fare i conti con noi» esulta il fisico Jean-Marie Brom e direttore di ricerca al Cnrs di Strasburgo. «La catastrofe in Giappone ha reso evidente la pericolosità  di questa centrale» aggiunge Brom, tra gli attivisti della rete “Sortir du Nucléaire”. Oltre alla veneranda età  – trentaquattro anni compiuti – Fessenheim sorge su una faglia sismica ed è alla confluenza di un complesso sistema di dighe che, secondo gli antinuclearisti, renderebbe certo lo “scenario Fukushima”: un terremoto, e subito dopo un’inondazione che impedisce il raffreddamento dei reattori. I tecnici di Edf, il gruppo pubblico che gestisce la centrale, rispondono elencando le loro certezze: la centrale è progettata per resistere a un impatto superiore al più forte sisma dell’ultimo millennio (a Basilea, nel 1356), e se ci fosse una piena del Reno, garantito che «non si supererebbero i 40 centimetri di acqua». Come la centrale giapponese, quella in Alsazia ha due reattori di 890 Mw messi in funzione nel 1977 e nel 1978. «Ma ragionando così bisognerebbe demolire tutti gli immobili parigini che hanno più di trent’anni» ha sintetizzato Henri Proglio, l’amministratore delegato di Edf. Il governo resiste alle pressioni, come l’Autorité de surete nucléaire (Asn) che tra qualche settimana dovrebbe emettere il suo verdetto sulla sorte del primo reattore. Edf aveva chiesto di prolungare l’attività  di altri dieci anni. «L’Asn doveva rendere noto il rapporto a marzo, ma hanno dovuto rimandare: buon segno» chiosa l’associazione “Sortir du Nucléaire”.
Una prima breccia. Nel panorama francese, il movimento anti-nuclearista non ha mai sfondato, l’energia dell’atomo ha sempre goduto di un sostegno bipartisan. Destra o sinistra, quasi impossibile trovare voci contrarie. Oggi tutto sembra diverso. Nell’ultimo anno, ben trenta amministrazioni comunali si sono espresse all’unanimità  per la chiusura di Fessenheim. Si sono mobilitate anche le città  tedesche e svizzere, che distano poche decine di chilometri. «Se ci fosse un incidente le conseguenze arriverebbero anche in Italia» osserva Brom. Sulla cartina, tra Fessenheim e Milano ci sono meno di cinquecento chilometri.
Finora le proteste degli anti-nuclearisti avvenivano in regime di clandestinità  mediatica. Ma da anni ormai si susseguono ricorsi, prima al Consiglio di Stato, poi all’Unione europea. L’ultimo è stato quello promosso dall’ex ministro dell’Ambiente e avvocato Corinne Lepage davanti al Tribunale amministrativo di Strasburgo. La domanda è stata respinta il 9 marzo, due giorni prima del terremoto in Giappone. «Se la decisione fosse arrivata dopo, allora avremmo vinto» ripetono oggi gli ambientalisti, che hanno fatto appello. Nei prossimi giorni sono previste altre azioni. A giugno, durante il vertice europeo per la sicurezza nucleare che si terrà  a Parigi, ci sarà  una catena umana intorno a Fessenheim tra Francia, Germania e Svizzera.
«Io non ho mai avuto paura». Guy Klein, 55 anni, ha lavorato nella centrale dell’Alto Reno fin dal giorno dell’inaugurazione. Ora che sta per andare in pensione, si dedica al sindacalismo e alla difesa dello stabilimento, 700 dipendenti e altrettanti a contratto. «Noi lavoratori dovremmo essere i primi a doverci preoccupare in caso di rischi». La piscina del reattore e la copertura in cemento sono stati rinforzati, ricorda Klein. Edf ha investito più di 200 milioni di euro in opere di modernizzazione. In questo momento, l’Autorità  per la sicurezza nazionale sta testando il secondo reattore. «Ci sono quasi duemila esperti indipendenti che si alternano nella centrale, avendo accesso a tutte le installazioni: sarebbe impossibile nascondere qualcosa di poco chiaro» racconta il sindacalista. «Da quando lavoro qui – conclude – mi sono sempre sentito al sicuro».
Ma ormai Fessenheim è un simbolo. La prima centrale nucleare francese potrebbe essere anche la prima a chiudere, circondata com’è da paesi che hanno cambiato la loro posizione dopo la catastrofe giapponese.«Oggi la Francia si ritrova completamente isolata» osserva Brom. Il governo invece è ancora convinto che i prossimi “stress test” confermeranno la sicurezza di tutte le centrali, compresa Fessenheim. «Noi puntiamo a un nuovo referendum per chiedere ai cittadini quello che davvero pensano, come avvenne in Italia» ribatte Brom. Forse la nuova paura che arriva da Oriente passerà . Oppure guardando quei pentoloni sul fiume nessuno riuscirà  più a sentirsi tranquillo. «Da qui partirà  un nuovo inizio» ripetono gli ambientalisti. Quale, ancora non si sa.

 

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