Eni, Nigeria e gli azionisti

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L’Eni, tramite la sua filiale locale, è presente in Nigeria dal lontano 1962. Come nel caso delle altre compagnie petrolifere, le attività  della multinazionale italiana sono state spesso oggetto di proteste e perplessità  da parte soprattutto delle comunità  locali. Nell’ambito delle loro attività  di azionariato critico, CRBM e Fondazione Culturale Responsabilità  Etica faciliteranno la presenza di Osayande Omokaro, attivista della Ong nigeriana Environmental Rights Action, all’assemblea degli azionisti della società  in programma domani proprio per sottoporre ai vertici dell’azienda alcune importanti questioni legate allo sfruttamento petrolifero nella regione del Delta del Niger.

Omokaro è co-autore di un dettagliato rapporto sul campo in cui si evidenziano le conseguenze del gas flaring. Nel tentativo di separare il petrolio dal gas naturale collegato al processo di estrazione, infatti, la maggior parte delle compagnie petrolifere che operano nella regione del Delta del Niger da decenni intraprendono tale pratica, molto dannosa sia per l’ambiente che per le persone.

Sebbene l’Alta Corte nigeriana competente in materia abbia dichiarato che il gas flaring è illegale, le imprese private continuano a utilizzarlo, poiché per loro sarebbe troppo costoso adottare la tecnologia che è in grado di iniettare di nuovo il gas nel sottosuolo o convertirlo per scopi industriali. A prescindere dai suoi nefasti impatti sull’ambiente (attraverso il surriscaldamento globale e i cambiamenti climatici), il gas flaring costituisce una perdita di preziose risorse economiche. Secondo Environmental Rights Action, a causa dell’utilizzo di questa pratica lo Stato nigeriano ha perso ben 72 miliardi di dollari di entrare nel periodo 1970-2006.

Inoltre Omokaro ha denunciato come, sebbene l’Eni abbia ottenuto l’approvazione da parte del governo nigeriano della costruzione di un Impianto Indipendente (Independent Power Plant – IPP) presso la comunità  di Okpai affinché anche quest’ultima si possa avvalere del gas associato per la produzione di energia elettrica, la compagnia non abbia ancora rispettato il suo impegno.

Nell’ambito della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, l’iniziativa “gas per energia” dell’Independent Okpai Power Plant ha ricevuto la concessione dello status di progetto qualificato a generare crediti di carbonio, come previsto dal Clean Development Meachanism inserito nel Protocollo di Kyoto. Il gas raccolto e utilizzato dall’Eni per l’attuazione del progetto legato al CDM è stato concepito per conseguire una riduzione delle emissioni di 14,9 milioni di tonnellate di CO2 per un periodo di crediti di dieci anni (2005-2015) e per fornire un contributo di circa 480 megawatt di energia elettrica alla rete elettrica nigeriana.

Tuttavia, dal 2005, quando l’Okpai Independent Power Plant è stato commissionato dall’ex presidente nigeriano, Olusegun Obasanjo, nessuna delle comunità  interessate dal processo di estrazione petrolifera all’interno del bacino d’utenza della centrale ha ricevuto forniture di energia elettrica dall’Eni. Un fattore che senza dubbio contribuisce ad aumentare la conflittualità  sociale nella regione. Le indagini di ERA sono in grado di rivelare che l’ex presidente Olusegun Obasanjo ha imposto all’Eni un ordine esecutivo di fornire energia elettrica alle comunità  locali. Tuttavia l’Eni non ha mai rispettato o preso sul serio l’ordine esecutivo. Secondo i documenti messi a disposizione di ERA dal Presidente dei leader spirituali Ndokwa, il professor BIC Ijomah, emerge che nella centrale di Okpai l’Eni produce attualmente circa 458 megawatt di energia elettrica e che trasferisce 450 megawatt verso la parte orientale della Nigeria, attraverso una città  chiamata Obosi, mentre la maggior parte delle comunità  Ndokwa continuano a rimanere al buio.

Le comunità  Ndokwa chiedono all’Eni 50 megawatt di energia elettrica prodotta dal progetto CDM per illuminare le loro abitazioni e rilanciare la loro economia. Domandano inoltre alla compagnia di rendere pubblici i dati sugli impatti sull’ambiente derivanti dal gas flaring, l’elenco degli impianti collegati al gas flaring chiusi o destinati al progetto CDM e i dati sulla riduzione delle emissioni da quando lo stesso progetto è iniziato nell’aprile 2005. Tutti quesiti a cui la compagnia del cane a sei zampe deve dare una risposta esauriente. O almeno così si augurano le realtà  locali


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