E l’Occidente creò i suoi OrientiDa fonte del sapere a modello artistico a barbaro da colonizzare

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Come si sono formate le grandi collezioni orientali nel British Museum di Londra, nel Louvre di Parigi e nel Museo Egizio di Torino? E in che maniera letterati, artisti, archeologi, diplomatici, viaggiatori nel corso dei secoli hanno costruito e demolito l’immagine del Levante? A questi interrogativi cerca di dare una risposta l’ultimo libro di Pierluigi Panza, il cui titolo (Orientalismi. L’Europa alla scoperta del Levante, prefazione di Stefano Zecchi, Guerini e Associati, pp. 240, e 23,50) esprime in maniera eloquente la complessità  della materia. L’autore non crede a una visione uniforme dell’Oriente: l’uso del plurale, infatti, annuncia che diverse immagini dell’Oriente, talvolta diametralmente opposte, si sono sviluppate e hanno perfino convissuto in Europa dal Rinascimento all’Ottocento. Si tratta di questioni delicate che negli ultimi anni, soprattutto dopo il fatidico 11 settembre 2001, hanno acceso infuocati dibattiti. A posizioni, per citare esempi più recenti, che hanno soffiato sul fuoco dello scontro di civiltà  (basti pensare alle tesi islamofobe sostenute da Sylvain Gouguenheim nel suo Aristotele contro Averroè) si sono contrapposti studi fondati sul riconoscimento del ruolo importante della cultura araba nell’Occidente (si veda il volume collettivo I Greci, gli Arabi e noi, pubblicato da illustri medievisti e arabisti, tra cui Alain de Libera). Il ricco lavoro di Panza prende naturalmente le mosse dal famoso saggio di Edward Said (Orientalismo, 1978) per compiere un percorso teso a complicare il quadro offerto dal grande studioso palestinese: il rapporto con il Levante, pur condizionato in alcune fasi da un indiscutibile eurocentrismo, non può essere ridotto esclusivamente alla storia di una colonizzazione. Il mito dell’Oriente ha esercitato, soprattutto nel Rinascimento, un fascino autentico che va ben al di là  della finalità  votata «alla subordinazione manu militari del Levante» . Panza — sulle tracce delle idee estetiche e, in particolare, delle riflessioni sull’arte e l’architettura — ha costruito il suo itinerario esegetico documentando l’esistenza di un doppio paradigma: quello fondato sulla «tradizione antica» («che ritiene i paesi levantini, e l’Egitto in particolare, terra d’origine della speculazione e della civiltà » ) e quello costruito sulla «tradizione moderna» («che vede in una Grecia ancora levantina, ma da “arianizzare”, la culla della civiltà  europea» ). Il primato della cultura orientale e degli Egizi trova la sua massima espressione nel Rinascimento: l’ermetismo, i geroglifici, lo gnosticismo, l’idea di religione naturale, le piramidi, gli obelischi, gli animali veri e favolosi hanno contribuito a costruire un mito della prisca sapientia che per lungo tempo ha ispirato non solo la filosofia e la letteratura, ma anche l’architettura, la pittura e le arti in generale. L’Oriente, nella sua più vasta accezione geografica, viene così posto al vertice del sapere. Ma già  verso la metà  del XVIII secolo a questa immagine del Levante se ne sovrappone un’altra fondata sull’esaltazione della Grecia e sulla supremazia dell’arte ellenica. Questo nuovo paradigma, che trova in Winckelmann uno dei suoi più importanti alfieri, non riuscirà  a scalzare completamente la «tradizione antica» , ancora viva nella Scienza nuova di Vico e in altri importanti autori. Panza, concentrandosi particolarmente sul secondo Settecento, passa in rassegna una mole sterminata di pubblicazioni europee, spesso corredate da immagini e disegni, in cui archeologici, diplomatici, viaggiatori, letterati, poeti, pittori, disegnatori esprimono la loro percezione, reale o immaginaria, del Levante. Sullo sfondo di un antagonismo politico e militare (dove la Francia e l’Inghilterra giocano il ruolo principale, affiancate dalla Germania e dalla Russia), emergono pagine significative su scoperte archeologiche e riti religiosi, su descrizione di paesaggi e su costumi delle più diverse popolazioni. Un’affascinante galleria di racconti che Panza costruisce abilmente per mostrare al lettore i vari volti dell’Oriente.


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