E il Cavaliere ora teme la paralisi “Ma Umberto si scordi un altro esecutivo”
ROMA – È la Lega l’incubo del premier. «Mi stanno mettendo con le spalle al muro», si è sfogato il capo del governo con uno dei tanti ricevuti ieri a via del Plebiscito. Con Umberto Bossi sul piede di guerra rischiano infatti di non vedere mai la luce i provvedimenti necessari al premier per sfuggire dai processi di Milano – la prescrizione breve, il processo lungo – oltre a quelle leggi-bandiera con cui Berlusconi vuole incorniciare la legislatura: la riforma Alfano sull’ordinamento giudiziario, la stretta sulle intercettazioni, la responsabilità civile dei giudici. Il Senatùr ieri lo ha detto chiaro e tondo al Cavaliere, in una breve telefonata che anticipa il «chiarimento programmatico» che ci sarà oggi a palazzo Chigi: «La giustizia non potrà più essere l’unica nostra priorità ».
Ma a palazzo Grazioli l’allarme è suonato per quello che potrà accadere il 30 maggio, nel caso Letizia Moratti perdesse al ballottaggio. «I leghisti – azzarda un ministro – porteranno a compimento il processo di sganciamento già avviato e si ritireranno dal governo». I timori del gruppo dirigente del Pdl trovano una conferma nei ragionamenti che si stanno facendo al vertice della Lega, sintetizzati da Bossi con quell’icastico «non affonderemo con loro». Una vittoria di Giuliano Pisapia non potrebbe infatti non avere conseguenze, anche se l’iter del federalismo e, soprattutto, le giunte regionali del Nord, vincolano il Carroccio a tenere in piedi l’alleanza con il centrodestra. L’ipotesi che si fa strada a via Bellerio è dunque quella di chiedere (pretendere) un passo indietro di Berlusconi, pur restando nell’attuale maggioranza. A palazzo Chigi, in attesa di un voto politico anticipato nella primavera del 2012, andrebbe un ministro dell’attuale governo, restringendo la scelta a Giulio Tremonti o Roberto Maroni.
Ma il presidente del consiglio al momento non ha alcuna intenzione di farsi da parte. «Se Umberto pensa ad un altro governo, se lo può scordare. Se davvero pensa di far saltare tutto, allora si va votare. Anche a ottobre. E però saltano anche le presidenze di Piemonte e Veneto».
Intanto, approfittando della debolezza del premier e del caos che regna a palazzo Chigi, Tremonti oggi sfilerà al ministero dello sviluppo il Dipartimento Sviluppo e Coesione, la cassaforte (l’ultima) che gestisce tutte le risorse di politica regionale, comunitaria e nazionale. La quasi totalità del bilancio di Romani. Un dettaglio rispetto agli scenari di crisi che aleggiano sul governo.
Scenari che partono tutti da una considerazione, la possibile sconfitta ai ballottaggi. Milano, ma anche Napoli. Dove Gianni Lettieri potrebbe soccombere nello scontro diretto con De Magistris. «Questi personaggi della società civile – confessa pentito uno dei registi della candidatura di Lettieri – quando li getti nella mischia non sanno più che fare, non hanno il passo giusto. Con Morcone avevamo di fronte un avversario sbiadito, De Magistris invece è un osso duro». Una doppia sconfitta al Nord e al Sud, ammettono unanimi nel Pdl, sarebbe per il premier la mazzata finale.
Ieri, tra le recriminazioni reciproche, Letizia Moratti ha preso l’iniziativa e ha telefonato a Gianfranco Fini, con il quale ha da anni un rapporto di reciproca stima. Un colloquio dai toni accorati, con il sindaco uscente che chiedeva al presidente della Camera il sostegno diretto del terzo polo al ballottaggio. Lamentandosi per i «toni eccessivi» dati dal Cavaliere alla campagna milanese e spiegando a Fini i vantaggi di un endorsement: «Se riusciamo a vincere sarà stato per merito vostro, sarete ritenuti indispensabili al centrodestra. E sarà chiaro a tutti che con Berlusconi non abbiamo vinto al primo turno».
Anche il Cavaliere sembra aver compreso la necessità di una svolta e promette a destra e a manca una «rivoluzione» nel partito. «Dobbiamo cambiare il partito, aprirlo ai giovani». Si riparla dell’arrivo di Angelino Alfano come coordinatore unico. Ieri Claudio Scajola animava molti capannelli di deputati a Montecitorio, preoccupati per il clima di disfacimento che si respira nella maggioranza. «Il partito – spiegava Scajola ai suoi – non esiste, è un disastro. Altro che pareggio! Questi ex An ci hanno diviso, ma noi di Forza Italia dobbiamo rimetterci tutti insieme se vogliamo sopravvivere».
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