Darnton: L’europa non lo sa ma il web salverà  i libri

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Due vocazioni si intrecciano e si illuminano vicendevolmente negli undici saggi che Robert Darnton ha ora raccolto ne Il futuro del libro (traduzione di Adriana Bottini, Adelphi, pp. 273, 24 euro). La prima è quella dello storico che attraverso uno straordinario lavoro di scavo negli archivi del passato ha riportato alla luce un Settecento underground destinato a contribuire in modo incisivo alla fine dell’Antico Regime. La seconda è quella dell’intellettuale impegnato che guarda al futuro interrogandosi sui problemi relativi alla trasmissione del sapere di domani. D’altronde, la sua stessa posizione di direttore della biblioteca di Harvard confronta quotidianamente Darnton con la necessità  di conservare e insieme di innovare. Vi è infine un terzo fattore che contribuisce a rendere Il futuro del libro una lettura appassionante ed è l’arte di narrare del suo autore.
Professor Darnton, lei scrive che digitalizzare è democratizzare. Ma che uso potrà  fare di questa immensa offerta di “lettura democratica” una società  di massa che legge di meno in meno, che antepone l’immagine al testo ed è per lo più sprovvista degli strumenti interpretativi necessari?
«Il termine “democratizzazione” può apparire allarmante se applicato alla cultura, soprattutto alla cultura americana così come viene vista dall’Europa. Nel suo libro scritto in polemica con Google – Quand Google défie l’Europe – Jean-Noà«l Jeanneney utilizza l’argomento degli agoritmi e del sistema di valutazione basato sulla frequenza degli accessi per denunziare un “populismo culturale”, come se la digitalizzazione in massa dei libri minacciasse di annegare l’Europa in una cultura di massa alienante. Gli europei possono rimanere affezionati – come lo sono io – al venerabile codice a stampa, ma gli americani leggono i libri elettronici con una avidità  uguale, se non maggiore – come mostrerebbero gli ultimi dati di Amazon –, a quella con cui leggono i libri stampati».
Qual è il panorama che ne emerge?
«Nel 2011, almeno il 20% dell’insieme delle vendite riguarderà  dei libri adattati a dei dispositivi di lettura che stanno in una mano. Sembra che la pratica stessa della lettura sia in aumento, soprattutto nel settore dei generi popolari come i romanzi rosa o i libri gialli. Questo vuol dire che democratizzare significa volgarizzare? Forse. Era già  ciò che lamentavano molti europei della seconda metà  dell’Ottocento davanti al successo di romanzi da quattro soldi e di giornali. Io condivido l’opinione di Richard Hoggart, Marcel de Certeau, Carlo Ginzburg e Roger Chartier che sostengono che i lettori plebei avevano la capacità  di cogliere tutta la ricchezza di significati dei testi “popolari” adattandoli alla propria cultura».
Lei parla anche di “democratizzazione della scrittura”. A cosa si riferisce?
«Si tratta di un fenomeno quanto mai interessante. Negli Stati Uniti, nel 2009, sono usciti 288.355 libri pubblicati da editori commerciali. A questi vanno aggiunti i 764.448 nuovi titoli di autori che si auto-pubblicano. Una volta i libri erano scritti per il lettore comune, oggi è il lettore comune a scriverli».
Fino a che punto è possibile paragonare, come lei fa, la rete di informazione senza frontiere offerta oggi da internet con la circolazione delle idee nella Parigi del Settecento? Gli intellettuali dei Lumi, Voltaire in testa, perseguivano l’obbiettivo di diffondere il sapere a beneficio delle élites e non certo del popolo.
«Voltaire sarebbe rimasto indubbiamente inorridito davanti alla situazione attuale. Non si stancava di sostenere che era rischioso insegnare a leggere ai contadini perché bisognava pure che qualcuno coltivasse i campi. I Lumi si sono spinti molto lontano nella loro esigenza di raffinatezza. Ma se si considera in modo globale l’età  dell’Illuminismo, vediamo che molte idee circolavano in forma frammentaria, esattamente come su internet. Basti pensare alle conversazioni scambiate intorno al così detto “albero di Cracovia” al Palais-Royal, ai bon-mots scarabocchiati su dei ritagli di carta, ai versi improvvisati sulle arie popolari. Sono persuaso che si debba procedere a una ricostruzione completa “dell’eco-sistema di informazione” del passato. Così facendo potremo avere una visione più chiara del futuro. Lungi da me di volere fare mio l’adagio che “più la cosa cambia, più resta uguale”, ma ne Il futuro del libro ho cercato di dimostrare come lunghe linee di continuità  interconnettano fasi diverse della storia».
Lei non si stanca di ricordare come per internet la garanzia di democrazia sia incompatibile con la politica di monopolio di Google.
«Il problema della democratizzazione è stato posto da Google Book Search in un nuovo modo. A prima vista questa iniziativa aveva il vantaggio di mettere milioni di libri a disposizione di milioni di lettori. Ma c’era un prezzo da pagare, quello dell’abbonamento d’accesso alla gigantesca banca dati di Google. Invece della democratizzazione ci trovavamo dunque di fronte a una prospettiva di commercializzazione. Il pericolo è diventato palese quando Google ha firmato un accordo economico con gli scrittori e gli editori che gli avevano intentato causa per avere violato il diritto d’autore. Il pubblico non era autorizzato a dire la sua, ma un tribunale di New York si è rifiutato d’approvare l’accordo».
Qual è l’alternativa possibile?
«Un gruppo di persone di cui faccio parte sta cercando di creare una “Biblioteca Digitale Pubblica degli Stati Uniti” (Digital Public Library of America) che si propone di fare concorrenza e battere Google sul suo stesso terreno, rendendo accessibile gratuitamente il patrimonio culturale americano non solo a tutti gli americani ma al mondo intero. Piuttosto che dipendere dallo Stato sul piano finanziario puntiamo su una coalizione di fondazioni private. Un consorzio di biblioteche metterà  a disposizione i libri e gli altri materiali. Molti sono ancora i problemi tecnici, giuridici e amministrativi, ma contiamo di presentare un primo modello entro la fine dell’anno in corso».
Le sue previsioni sul futuro?
«Viviamo un momento straordinario della storia delle comunicazioni. Tutte è fluido e in continuo mutamento. Se sappiamo cogliere il momento, possiamo determinare il nostro futuro per il bene pubblico. Dobbiamo digitalizzare – digitalizzare e democratizzare».

 


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