Così il boss pentito vuole cancellare suggeritori e mandanti

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FIRENZE – Quando un mafioso apre bocca non sbaglia mai a parlare. Sa sempre quello che dice e l’effetto che fa. Raccontando di stragi, Giovanni Brusca ha recitato la sua parte. Sembrava confuso, vago, in realtà  è stato lucido e molto astuto. Giovanni Brusca ha rovesciato la sua verità  tirando tutti dentro le trame siciliane ma rivelando, né più e né meno, quanto già  si sapeva e quanto lo Stato italiano oggi è disposto ad ammettere o a sopportare sulle uccisioni di Falcone e Borsellino e sulle bombe in Continente. Ci sono stati dei ricatti in quel lontano 1992, ci sono stati dei patti a cavallo fra il 1993 e il 1994, però quelle stragi le ha progettate e le ha eseguite Cosa Nostra. Solo Cosa Nostra. Nessun mandante al di fuori di Totò Riina, nessun suggeritore «per l’attacco al patrimonio artistico» di Firenze e di Roma, nessun apparato in campo per destabilizzare il Paese con gli attentati. Con le sue parole Giovanni Brusca ha riportato le indagini sulle stragi mafiose al quasi niente dove si erano impantanate sino un paio di anni fa, sino a quando fra gli imputati e gli assassini figuravano soltanto i mafiosi di Corleone. La sua deposizione ha voluto cancellare ipotesi su «entità  esterne» o «soggetti politici» coinvolti nella strategia del terrore, ha spazzato via sospetti, ha scaricato ogni responsabilità  su tre uomini della sua cricca: Totò Riina, Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro. Questo ha fatto ieri Giovanni Brusca nell’aula bunker di Firenze. Poi, il tocco finale. Nessuno gliel’aveva chiesto ma lui ha sentito spontaneamente il bisogno di confessarlo pubblicamente: «Berlusconi e Dell’Utri non c’entrano con le stragi». Una frase buttata lì all’improvviso, ricordando un’innocua chiacchierata di qualche mese fa con il cognato Salvatore Cristiano. Nessuno l’aveva invitato a pronunciare nomi ma lui quei nomi li ha voluti fare a tutti i costi. Sembrava davvero molto «preparato», ieri in aula, il boia di Capaci. Dopo la scoperta del suo piccolo tesoro e l’indagine per riciclaggio che pende minacciosa sulla sua testa, Brusca ha promesso per l’ennesima volta «una leale collaborazione» e si è presentato a Firenze ad accusare di qua e di là , ma trascinando nel suo gorgo personaggi già  sfiorati da indagini sulla trattativa come Mancino o già  bruciati da condanne per mafia come Dell’Utri. Con il primo ha rincarato la dose rispetto le sue precedenti dichiarazioni a verbale («Riina mi disse che Mancino era il committente finale del papello»), il secondo l’ha messo al centro di un accordo per fermare le bombe («Sono a disposizione e vi ringrazio», avrebbe riferito lo stesso Dell’Utri allo stalliere Mangano dopo la proposta dei boss) ma ha tenuto a precisare di non avere mai saputo se Berlusconi fu realmente informato. Un negoziato con il centro sinistra fra l’uccisione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, un altro negoziato con il centrodestra del primo governo Berlusconi dopo gli attentati di Firenze e Roma e Milano. Vicende ricomposte da Brusca con tanti ricordi di testimoni che non ci sono più e anche mischiando un po’ le carte. Insomma, ieri Brusca ha parlato – si è limitato a parlare – di quelle famose trattative fra una strage e l’altra. Non gli è sfuggita una sillaba in più. Al contrario. Alla domanda di un difensore che gli chiedeva su presunti contatti dei boss con i servizi segreti al tempo dei massacri, ha avuto perfino l’insolenza di bollare quell’ipotesi come «fantapolitica giudiziaria». Proprio lui, un Brusca, uno di quelli che per tradizione familiare – suo Bernardo ne sapeva qualcosa – può vantare contatti di quel genere dai tempi dei morti di Portella della Ginestra. Ma il racconto di Giovanni Brusca a Firenze non si può «leggere» isolato, staccato da altre storie che stanno accadendo in queste settimane in Sicilia. C’è il crollo del testimone Massimo Ciancimino (anche se la procura di Palermo crede ancora in certe sue accuse e le vuole verificare), ci sono le incertezze di Gaspare Spatuzza, un altro superpentito delle stragi del 1992. Dopo la ricostruzione attendibile che ha fatto dell’uccisione di Borsellino, il sicario di Brancaccio si è perso fra i dubbi nel riconoscimento di uomini degli apparati che aveva in un primo momento indicato addirittura sul luogo della preparazione dell’attentato. Un passo avanti e uno indietro. E’ come se, in questa primavera, tutte le indagini sui misteri siciliani siano sprofondate un’altra volta nell’abisso.


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