by Editore | 28 Maggio 2011 7:59
Per Vandana Shiva, che ha aperto i lavori, è essenziale ripartire da “quell’economia naturale, basata sull’equilibrio e non sullo spreco o il consumo selvaggi”. L’economista e fisica indiana ha portato l’esempio del suo Paese dove nel 1982 ha fondato il Reconnecting Farmers, Society and the Earth: “la crescita si regge al 90% sulla distruzione delle risorse naturali, innescando un processo che rende i cittadini prigionieri, perché condannati a possedere cose e oggetti di consumo, ma senza la possibilità di un lavoro dignitoso. Così l’India, la terra del cotone per antonomasia, ha visto crescere il costo delle sementi a partire dagli anni ottanta, mentre la varietà biologica viene gradualmente distrutta ed aumenta la criminalità a causa delle mancate condizioni di salute e sazietà ”.
Una critica simile al sistema economico imperante è stata fatta anche dall’economista ecuadoregno Alberto Acosta per il quale “occorre ridefinire il progresso attraverso nuovi stili di vita, facendo proprio il buen vivirtanto caro alla tradizione indigena, la quale è sempre più in via di estinzione”. Il che significa “godere della qualità della vita in quanto ci si sente parte dell’ecosistema, senza distruggerlo per puro profitto”.
La due giorni di Attac ha posto così l’accento sulla decrescita proponendo, con più di cento relatori, fra economisti, sociologi, attivisti e cittadini provenienti dall’Europa all’America Latina, “nuove e vecchie strategie per ripensare una post-economia della crescita, che faccia salvi i diritti sociali, la giustizia ecologica, la qualità della vita e riconfiguri il mondo del lavoro, il sistema finanziario, i rapporti di genere e la sfera della sicurezza sociale”.
Temi impegnativi, ma urgenti, per i quali Attac ha cercato di elaborare delle soluzioni coerenti e concrete, collocandosi così a pieno titolo nel dibattito sia italiano, che con Decrescita e il Movimento per la Decrescita Felice da diversi anni parla di una decrescita “possibile e non terribile”, che europeo, inaugurato dalla Sustainable Development Commission in Gran Bretagna e dalla Commission on the Measurement of Economic Performance and Social Progress in Francia.
L’opposizione fra crescita negativa e positiva (in tedesco resa con due differenti espressioni: Schrumpfung e Wachstum) è stata fatta propria anche dalla rappresentante della Rosa Luxemburg Stiftung, Sabine Reiner, che ha rilanciato le teorie di John Keynes e la necessità di aprire nuove trattative sul lavoro. Ma, per risanare la situazione del lavoro, Sabine Reiner non intende il sistema capitalista un avversario, bensì “un mezzo che si può opportunamente usare”.
Di diverso avviso Niko Paech, economista dell’Università di Oldenburgh, che ha invece insistito sull’urgenza di avviare la “demonetizzazione” dei rapporti sociali ed economici. Paech ha illustrato la necessità di una “rivoluzione copernicana che si attui nella cultura, come imperativo etico, spingendo tutti ad adottare stili di vita radicalmente nuovi: abbandonare l’auto, diventare vegetariani, condividere i mezzi materiali, seguire il modello delle Transition Towns”. In questo modo, “una volta che tali stili si saranno affermati individualmente raggiungendo la maggioranza all’interno di una comunità , la politica non potrà fare a meno di applicarli, avendone saggiato il successo”.
Una prospettiva di decrescita è stata sinteticamente interpretata anche da Christian Zeller dell’Università di Salisburgo, che ha mostrato come la politica economica neoliberale sia niente altro che “un’economia del debito permanente, contro la quale è indispensabile richiedere: una moratoria per l’annullamento dei debiti illegittimi” (quelli che ricadono sui privati cittadini, benché non provocati da loro); “la riappropriazione pubblica del credito; la tassazione delle transazioni finanziarie e la chiusura definitiva dei paradisi fiscali per mezzo di politiche europee adeguate”.
Una posizione affine a quella di Filka Sekulova dell’Institute for Environmental Science and Technology (ICTA) presso l’Università di Barcellona, secondo la quale la decrescita significa, anzitutto, rendere il mercato finanziario meno rilevante mediante forme diverse di investimenti e precise regolamentazioni, in linea con quelle proposte nel 2010 da Basilea 3, il Comitato per la supervisione bancaria.
Queste sono solo alcune delle voci che hanno animato il dibattito dello scorso fine settimana a Berlino, destando interesse e curiosità , ma anche molte perplessità , perché che questi ritmi di “crescita forzata” non siano sopportabili sembra ormai chiaro a molti, ma capire come invertire questa tendenza è ancora una questione aperta. Per il momento il gran numero di iniziative attorno a questo tema registra un’ansia di partecipazione e di cambiamento reale, che fa ben sperare chi crede in “un altro mondo possibile”.
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