Confindustria, meglio il silenzio

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La naturalezza con cui è scattata la solidarietà  di categoria a dispetto della sentenza di condanna non si cancella con una pezza messa lì nella speranza di spegnere la sacrosanta indignazione dei familiari delle vittime e dell’opinione pubblica. Meglio avrebbe fatto Galli a tacere piuttosto che dire che sì, quell’applauso era inopportuno, ma che va “capito, perché è spontaneo in una platea di imprenditori”.
Sulla base di cosa dovrebbe apparirci comprensibile il sostegno degli industriali a un’azienda condannata per l’omicidio volontario di sette dei suoi operai? Il tribunale che ha sancito le responsabilità  della Thyssen ha applicato la stessa logica con cui si condanna per omicidio volontario anche chi ha causato la morte di qualcuno passando deliberatamente con il semaforo rosso. I vertici dell’Automobile Club d’Italia applaudirebbero mai un guidatore che ha ucciso un innocente ignorando un segnale di stop? Non ci apparirebbe grottesco il presidente dell’ACI se dicesse che quella condanna allontanerà  gli automobilisti dalle strade d’Italia? Invece, l’indulgenza con cui gli stati generali della Confindustria hanno assolto a suon di applausi il comportamento omicida del loro associato fa temere che dove si condividono gli applausi si condividano anche i silenzi.
Risuona ancora quello che ha circondato la morte del venticinquenne siciliano Pierpaolo Pulvirenti, studente in Farmacia che un mese fa credeva di pagarsi le ferie estive con un lavoro interinale di venti giorni alla raffineria Saras di Sarroch, di proprietà  dei fratelli Moratti. Mandato a pulire una cisterna dopo appena un paio d’ore di addestramento, Pierpaolo è morto con i polmoni bruciati dal gas. Emma Marcegaglia allora disse che era “una grande tragedia”, commento più adatto a un’opera shakespeariana. Se i confindustriali distinguessero bene tra la definizione tutta teatrale di tragedia e quella più giuridica di omicidio, gli applausi forse verrebbero meno spontanei.


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