Com’è invecchiata la capitale del Nord

by Editore | 9 Maggio 2011 6:12

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Della Seconda Repubblica Milano è, ancora oggi, la “capitale” reale. Il riassunto dei grandi “cambiamenti” economici, sociali, politici, territoriali degli ultimi vent’anni.
A Milano, nel 1992, sono partite le inchieste della magistratura su Tangentopoli. D’altronde, Milano era la città  di Craxi, il leader della Prima Repubblica nella fase del declino. Ha pagato per tutti: la sua caduta ha identificato la caduta dell’intero ceto politico tradizionale. Milano è la città  dei magistrati, gli attori protagonisti del crollo della Prima Repubblica. La città  dove echeggia, ancora, l’appello pronunciato nel 2001 dal procuratore generale Francesco Saverio Borrelli: “Resistere, resistere, resistere!”. Come ripete, da qualche tempo, in modo ossessivo, anche Mister B: “Resistere!”. Ai magistrati.
Milano è la città  dove, alle elezioni amministrative del 1993, diventa sindaco il leghista Marco Formentini. Eletto direttamente dai cittadini, come prevedeva la nuova legge elettorale (L. 81 / 19 9 3 ). Milano: la città  santa del Nord padano. Simbolo della rivoluzione che procede, rapida e inarrestabile, dalle province produttive del Veneto e della Brianza. Sfidante di Formentini, al ballottaggio, è Nando Dalla Chiesa. Candidato della Rete, un movimento che si logorerà  in fretta. Insieme ai tentativi di innovazione politica a sinistra. 
Milano è la città  dove si è affermato Silvio Berlusconi. Prima, come imprenditore dei media e delle costruzioni. Poi come leader politico. Mister B è l’inventore del format che ha ispirato la Seconda Repubblica. Imitato da tutti e inimitabile. Mister B: ha imposto in Italia la “politica come marketing”, che mixa personalizzazione e mediatizzazione. Insieme a Bossi e alla Lega, nel 1994 vince le elezioni politiche. Conduce Milano alla conquista di Roma. Berlusconi e, in parte, la Lega si impongono nel vuoto politico generato da Tangentopoli. Dalle inchieste dei magistrati di Milano. Grazie a Di Pietro e al pool di Mani pulite. Che diverranno, in seguito, i principali, se non unici, nemici di Mister B (e della Lega). Paradossalmente ma non troppo. Perché i magistrati, insieme a Berlusconi e alla Lega, sono i “costruttori” e i protagonisti della Seconda Repubblica, nata nel 1992. Indisponibili a farsi (mettere) da parte. 
Prima dell’era della Lega e di Berlusconi, di Tangentopoli e della Seconda Repubblica, però, Milano era già  “capitale”. Al centro di un nuovo tipo di capitalismo, fondato sulla “produzione dei beni immateriali” (per dirla con Arnaldo Bagnasco). I servizi all’economia, alle persone, la finanza, la comunicazione, le nuove tecnologie. Il sistema immobiliare. Milano, capitale del Nord – e dell’Italia – alternativa alla metropoli dell’industria di massa. Torino, città  della Fiat e degli Agnelli. Simbolo del compromesso con il sistema partitico romano. Negli anni Novanta, Torino e Roma: sono il “vecchio al governo”. Milano alleata al Nordest e alla provincia del Nord, al “capitalismo di piccola impresa”, interpretato dalla Lega: è il nuovo che avanza. La “nuova” capitale dell’Italia Nuova. Da quasi vent’anni. 
Per questo è tanto importante ri-conquistarla. Vincere le elezioni amministrative. Soprattutto oggi che la parabola di Mister B appare in declino. Nonostante il Cavaliere resti un osso durissimo per tutti. Milano: è la capitale del suo regno. Non può permettersi di perdere. Per questo è sempre lì, un giorno sì e l’altro pure. Mister B ha trasformato la consultazione in un referendum pro o contro se stesso. Come, del resto, ha fatto in altre precedenti occasioni. Più di Pisapia e del centrosinistra, più di Manfredi Palmeri e del Terzo Polo, Berlusconi teme i pericoli che provengono dall’interno. Dalla sua maggioranza. Dal tessuto sociale ed economico della città . 
Milano, infatti, è solcata da segni visibili di malessere. La maggioranza di centrodestra è plurale e incoerente. La Lega: vorrebbe guidare direttamente Milano. Perché non è possibile costruire la Padania senza governarne la capitale. C’è, poi, il governatore Roberto Formigoni, che rappresenta il sistema di valori e di interessi all’incrocio fra Cl e la Compagnia delle Opere. Un vero partito di massa, solido e radicato. La Lega e lo stesso Berlusconi hanno preferito tenerlo lontano da Roma. Ma ne temono il potere in Lombardia. E, soprattutto, a Milano. 
Peraltro, la galassia fluida intorno a Mister B appare ancor più fluida da quando il Sovrano ha inventato il Pdl. Mister B oggi interpreta il sentimento “estremista di governo”. Vorrebbe un partito di lotta – ai magistrati e ai comunisti: “Il cancro da estirpare”. Vorrebbe, anch’egli, gridare: “Fuori le Br dalle procure”, come Roberto Lassini. 
Ma la vecchia borghesia milanese, che continua a sostenerlo, è sempre più a disagio di fronte a questa deriva. Per prima: Letizia Moratti, il sindaco uscente e ri-candidato. Figurarsi. Una Moratti. La stessa famiglia che “guida” l’Inter. Dunque, naturaliter, estranea al berlusconismo. Visto che il calcio – e il Milan – nella visione di Mister B non sono “altro” dalla politica. Ne sono, anzi, il modello. Tanto più oggi che il Milan è tornato a vincere. 
Infine, Milano stessa, appare una capitale stanca. Le sue basi economiche – finanza e costruzioni su tutto – sono state scosse da crisi molto pesanti. Nella classifica della qualità  della vita e del benessere calcolata da “il Sole 24 Ore”, la provincia di Milano (di cui il capoluogo è gran parte) nel 2010 è scivolata intorno al 21° posto (nel 2005 era al 4° posto, insieme ad Aosta e Ravenna). Ma in quanto a tassi di insicurezza e di criminalità  è praticamente in fondo. Il sindaco Letizia Moratti, nelle graduatorie definite da “il Sole 24 Ore” in base al gradimento dei cittadini, nel 2010 si è attestata al 73° posto in Italia. Una posizione di retroguardia. 
Quando Mister B sostiene che il voto del prossimo 15 maggio è “politico” ha, dunque, ragione. Per questo lo teme. Per questo è sempre a Milano, ogni lunedì, davanti al Palazzo di Giustizia. Accompagnato dalla claque. Un’immagine vecchia e un po’ consunta. Come il protagonista. Difficile riconoscere in essa “l’Italia che cambia”. Al di là  del risultato di domenica prossima – peraltro, importantissimo – evoca, invece, la fine di un ciclo. Di un’era.

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