Clancy: “Il covo, le protezioni, il blitz per Bin Laden una fine da romanzo”

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LONDRA – «I Seals della U. S. Navy non sono poliziotti che devono far rispettare l’ordine, sono guerrieri addestrati per uccidere. Questo era il compito che avevano quando sono piombati in elicottero sulla casa-fortezza di Osama Bin Laden e non poteva esserci nessun’altra soluzione».
Lo dice uno che di queste cose se ne intende: dall’alto dei suoi 50 romanzi e 3 milioni di copie vendute, per non parlare dei film e videogame che ne sono stati tratti, Tom Clancy è lo scrittore di “techno-thriller” più famoso al mondo. Li chiamano così, i suoi libri, perché hanno trame ispirate dalle più avanzate tecnologie militari, talvolta al punto da rivelare in anticipo il potenziale di armi ancora in fase sperimentale; e perché nessuno meglio di lui conosce le forze speciali, i commandos, gli intrighi dello spionaggio, nel campo della narrativa ma non solo, visto che ormai viene interpellato come consulente anche su questioni di sicurezza e di intelligence. L’autore di best-seller internazionali come «La grande fuga dell’Ottobre Rosso», «Il cardinale del Cremlino», «I denti della tigre» (tutti pubblicati in Italia da Rizzoli) non concede spesso interviste, ma accetta di rispondere alle domande di Repubblica dalla sua villa sulla costa del Maryland, dove lavora e dove ha inventato il personaggio di Jack Ryan, prima agente della Cia, poi presidente degli Stati Uniti, infine ex-presidente ancora pronto a tornare in azione, come quando decide di dare personalmente la caccia a un terrorista islamico che somiglia molto al capo di Al Qaeda.
Signor Clancy, cosa pensa della morte di Bin Laden?
«Ci è voluto un bel po’ di tempo, ma era inevitabile. Prima o poi saremmo riusciti a prenderlo. Ebbene, ora lo abbiamo beccato».
Crede che la decisione di ucciderlo sia stata presa in anticipo? Era possibile, date le circostanze, catturarlo vivo?
«La decisione di essere ucciso è stata presa da Bin Laden medesimo, nel momento in cui si è nascosto in una fortezza in miniatura, dalla quale non era semplice tirarlo fuori vivo. Naturalmente è chiaro che a premere il grilletto sono stati i commandos americani, i Seals della U.S. Navy. Uccidere è il loro mestiere. Non sono agenti di polizia. Sono dei guerrieri. Il loro compito non è fare rispettare la legge, come fa la polizia, ma piuttosto è quello di garantire la pace uccidendo coloro che non hanno comportamenti pacifici».
Osama si era nascosto dove nessuno si aspettava di trovarlo: in una città , vicino alla capitale del Pakistan, a poca distanza dalla più importante accademia militare. Che abbia letto dei romanzi?
«La realtà  a volte è romanzesca. Nascondersi dove tutti potrebbero vederti è a volte l’opzione più intelligente per un fuggitivo. E Bin Laden non era uno stupido. Era maligno, ma non stupido».
Pensa che sia stato veramente un corriere pedinato dalla Cia a fare scoprire il rifugio di Osama, oppure ritiene possibile un’altra ipotesi? Per esempio che qualcuno lo abbia tradito, qualcuno che sapeva chi era e dove si nascondeva, forse all’interno dei servizi segreti pachistani?
«Quello che è veramente accaduto non è stato reso pubblico e non lo sarà  ancora per parecchio tempo. I metodi per ottenere un risultato, in questo caso per trovare il ricercato numero uno del mondo, sono qualcosa che le nazioni cercano di tenere nascosti: non ha senso pubblicizzarli, perché si spera che possano essere usati altre volte e la pubblicità  li renderebbe invece inutilizzabili, facendo sapere a futuri nemici come difendersi».
Se questo fosse uno dei suoi romanzi, sarebbe un buon romanzo, una trama che sta in piedi? Lei avrebbe immaginato una missione del genere, per eliminare Osama?
«L’ho già  scritto, un romanzo del genere, “Vivo o morto” (pubblicato da Rizzoli nel 2010, ndr.). Con altri nomi, era la storia di un piano per trovare e uccidere Bin Laden. Non riuscii a prevedere quello che è poi successo nella realtà , ma prevedere la realtà  non è un mestiere facile, specie se non sei a conoscenza del tipo di informazioni riservate che arrivano sul tavolo del presidente degli Stati Uniti».
Quanto è stato difficile per i Navy Seals penetrare una casa-fortezza come quella di Osama, mettere rapidamente fuori combattimento le sue guardie, catturarlo e ucciderlo, poi andarsene con il corpo senza perdere un solo uomo?
«La parte più difficile, in una missione di questo tipo, è trovare il bersaglio. Una volta identificato il luogo in cui si nasconde, colpirlo è relativamente facile per gente bene addestrata. La parte difficile non è uccidere, è scoprire dove si nasconde. I Seals sono dei professionisti addestrati nel modo migliore possibile. Una volta li ho descritti come dei campioni olimpici la cui disciplina è uccidere. Suona brutale, ma spiega piuttosto bene chi sono. Sono anche persone estremamente intelligenti. La maggior parte di loro potrebbero insegnare a livello universitario. E sono in una forma fisica incredibile. Ma più di tutto si addestrano e continuano incessantemente ad addestrarsi, giorno dopo giorno, aspettando opportunità  come questa».
Che reazione ci si può aspettare adesso da Al Qaeda?
«Questo è difficile da dire. Di certo qualche reazione ci sarà . Di che tipo, dipende da quanto della loro rete di comando esiste ancora. Gli Stati Uniti hanno lavorato piuttosto duramente per eliminarla. I leader e i militanti di Al Qaeda non sono dei supermen, ma anch’essi sono dediti alla loro missione. E tuttavia avere ucciso il loro capo supremo dovrebbe, se non scoraggiarli, certamente disorganizzarli perlomeno in certa misura».
Pensa che le rivolte nei paesi del Nord Africa nel nome della libertà  influenzeranno il corso del conflitto tra l’Occidente e Al Qaeda, tra le democrazie e il terrorismo?
«Gli arabi, come chiunque altro al mondo, vogliono le stesse cose che vogliamo noi: un lavoro decente, una casa decente e una vita migliore per i propri figli. È responsabilità  dei governi arabi rendere questi desideri possibili, tenendo presente che, fino a quando non saranno realizzati, continueranno le proteste, le rivolte e i problemi. Tutti gli esseri umani vogliono essere liberi e prosperi, è un desiderio naturale. La razza e la religione non hanno niente a che vedere con questo. Tutti i popoli sono gli stessi. Vogliamo tutti essere liberi. Lo ha dimostrato la guerra d’indipendenza americana 200 anni fa».
In conclusione che cosa ci dice questa storia, la fine di Osama, sul mondo di oggi dello spionaggio, dell’intelligence, degli agenti segreti, delle operazioni clandestine e dei commandos?
«Ci rammenta che i governi, il nostro, il vostro, tutti i governi, dispongono di forze speciali per compiere missioni speciali. Compito dei governi è proteggere i loro popoli e creare l’atmosfera in cui la gente può avere una vita libera, dignitosa e dotata di una ragionevole prosperità . Le forze del male che tramano contro tale visione sono perciò il bersaglio comune di tutti i governi legittimi della terra. Ma per quanto questo conflitto abbia alterne vicende, le forze speciali al servizio della democrazia e della libertà  sono in ultima analisi più forti delle forze del male. Le forze dell’ordine sconfiggeranno le forze del disordine. Questo è il messaggio che ci manda la fine di Osama Bin Laden».

 


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