Città . Le più vivibili? Troppo noiose così all’ordine preferiamo il caos

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Affacciata sull’oceano Pacifico, circondata dalle montagne, né troppo grande né troppo piccola, ben governata, con bassa criminalità  e buone strutture sociali, Vancouver è da anni al primo o ai primissimi posti delle classifiche sulle “città  più vivibili” del pianeta, compilate da esperti, commissionate da riviste come Economist, Monocle, Forbes, lette con interesse da tutti. C’è un solo problema in questo tipo di graduatorie: chi vorrebbe “veramente” andare a vivere a Vancouver? Con quel freddo? Così lontana? Così poco eccitante? La sua “vivibilità ” non è per caso sinonimo di noia?
L’interrogativo viene posto questa settimana dal Financial Times, che ha chiesto al proprio critico di architettura, a una giuria autorevole e in un sondaggio ai propri lettori di considerare il problema. “Liveable vs lovable”, città  vivibili contro città  amabili, lo riassume sin dal titolo il più importante quotidiano finanziario d’Europa. Significa, in sostanza, che gli indici usati per determinare le città  in cui si vive meglio nel mondo producono sempre più o meno gli stessi nomi: Vancouver, appunto, e poi Vienna, Zurigo, Ginevra, Copenhagen, Monaco di Baviera. Per lo più tutte di medie dimensioni, situate nel nord del globo, spesso nei paesi scandinavi. Ma dove sono le folle di immigrati o espatriati (versione benestante dell’immigrazione) che corrono verso simili destinazioni? E come è possibile che invece le città  amate da tutti, New York, Londra, Parigi, Berlino, Hong Kong, ma pure Roma, Istanbul, Rio de Janeiro, non figurano mai in quelle classifiche?
«C’è una contraddizione di fondo», sostiene Joel Kotkin, docente di sviluppo urbano alla Cambridge University. «Sono stato a Copenhagen (numero due della graduatoria di quest’anno di Monocle sulle città  dove si vive meglio, ndr), ed è molto graziosa. Ma francamente dopo un giorno non sapevo più che fare. La domanda da porsi è: cosa rende grande una città ? Se la vostra idea di una grande città  è riposo, ordine, pulizia, allora Copenhagen e Vancouver vanno bene. Altrimenti no». Concorda Ricky Burdett, fondatore del Cities Programme alla London School of Economics: «Queste graduatorie forniscono sempre una lista dei posti dove nessuno vuole davvero vivere. Alla maggior parte della gente piace stare in città  grandi e complesse, dove non conosci tutti e non sempre sai cosa ti riserva il futuro. Città  che sono fonte di problemi e conflitti sociali, ma anche di opportunità  e imprevisti».
Altro fattore: le città  “vivibili” sono generalmente egualitarie, con un diffuso senso di soddisfazione, un ridotto gap ricchi-poveri. «Ma spesso è proprio la contrapposizione di ricchezza e povertà  che rende una città  dinamica, vibrante, un luogo di cambiamenti radicali, dove le vite si possono trasformare, in cui circolano nuove idee e si confrontano civiltà  diverse», conclude Edwin Heathcote, il critico d’architettura del Financial Times. Morale: è facile essere efficienti quando sei una piccola città  scandinava, dove tutti pagano (alte) tasse e sono mediamente benestanti. Tuttavia non è sorprendente che non ci sia la coda per andare a vivere a Stoccolma. Ecco perché, a dispetto delle classifiche sulle città  dove si vive meglio, le città  più amate sono altre: New York o Londra, mica Vancouver o Copenhagen. E per parlare di casa nostra, Roma o Milano, con tutti i loro difetti, mica Pordenone.


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