Cile, sì alle dighe in Patagonia gli ecologisti: sfregio all’ambiente
Per gli ambientalisti, è uno sfregio in Paradiso. Per le imprese coinvolte, è una possibilità di sviluppo per una regione poverissima. Nella Patagonia cilena, una delle zone più incontaminate del pianeta, cinque immense dighe verranno costruite dal consorzio Hydroaysen, in maggioranza dell’italiana Enel, sul bacino dei fiumi Pascua e Baker. E proprio nella regione dell’Aysen la gente è scesa in piazza: l’ultimo sondaggio dice che il 61 per cento è contrario alle dighe. Ma ieri la commissione regionale, interamente nominata dal governo di Santiago, ha dato il primo via libera alla costruzione. Il piano prevede la copertura di 5600 ettari: panorami mozzafiato e angoli di wilderness saranno ricoperti d’acqua, dicono gli ambientalisti. All’Enel ribadiscono che il progetto è centrato sullo sviluppo, e che non si farà se la gente non lo vuole.
Scopo fondamentale dell’operazione è saziare con quasi tremila megawatt la sete di energia degli impianti minerari nel nord del Cile, anche a costo di sacrificare le prospettive di uno sviluppo turistico della zona. Agli ecologisti sta a cuore il modello della Patagonia argentina, che «rende» 800 milioni di dollari l’anno. «Basterebbe investire in pannelli solari nel deserto dell’Atacama, nel nord», dice Juan Pablo Orrego, portavoce della campagna Patagonia sin Represas che comprende 70 organizzazioni.
Qualche ricasco economico resterà nella regione, e fra la popolazione locale alcuni piccoli centri non se la sono sentiti di mobilitare le energie contro il progetto. Insomma, qualche posto di lavoro, un po’ di infrastrutture: poco, dicono i militanti della campagna. Al centro della contestazione c’è soprattutto la normativa cilena sulle privatizzazioni, fortemente voluta da Pinochet negli anni della dittatura: le aziende sono proprietarie, non concessionarie, dell’acqua che scorre fra le rocce della Patagonia. E dunque ne possono fare quello che vogliono.
Manca ancora il via libera per l’elettrodotto, una delle parti più controverse: sarà lungo 2300 chilometri, comprenderà seimila tralicci alti 70 metri e attraverserà nove regioni e sei parchi nazionali. E gli scorci a rischio sono irripetibili: laghetti di montagna, spiagge naturali, gole, foreste, praterie.
L’Enel è responsabile del progetto da quando, nel febbraio 2009, ha acquistato la spagnola Endesa e ne ha ereditato i progetti, compreso l’82 per cento di quello cileno. Nei giorni scorsi una delegazione di ecologisti cileni ha chiesto agli azionisti di rinunciare al progetto, per salvare quello che resta del Paradiso. Ma Fulvio Conti, amministratore delegato dell’azienda italiana, lo ha detto chiaramente: «L’Enel non cambierà idea. E l’impatto previsto sarà minimo».
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