Bombe sul bunker di Gheddafi la Nato: “Non sappiamo se è vivo”

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BRUXELLES – Dov’è Gheddafi? È vivo? È morto? Il dittatore libico non compare in pubblico o in televisione dal 30 aprile, poche ore prima del raid Nato contro una delle sue residenza in cui è stato ucciso uno dei suoi figli, Saif al-Arab. E non si è mostrato neppure al funerale del suo ultimogenito, il 2 maggio.
L’Alleanza atlantica, che ieri ha intensificato i raid contro Tripoli, non contribuisce a risolvere il mistero e dice di non avere informazioni sulla sorte del Colonnello, ma aggiunge anche che la persona di Gheddafi non è un bersaglio delle incursioni occidentali.
«Non abbiamo prove se sia vivo o morto, né sappiamo cosa stia facendo ora Gheddafi. E, a dire la verità , non siamo neppure interessati. Il nostro mandato è proteggere la popolazione civile libica ed eseguiamo questo mandato colpendo bersagli militari, centri di comando e controllo, non individui specifici», ha spiegato dal quartier generale di Napoli il generale Claudio Gabellini, responsabile della pianificazione delle operazioni Nato sulla Libia. E Carmen Romero, portavoce del segretario generale dell’Alleanza, da Bruxelles conferma: «Non stiamo dando la caccia a Gheddafi. La nostra strategia è di ridurre il più possibile la capacità  del regime di colpire i civili». Tuttavia il segretario generale, Rasmussen, parlando negli Stati Uniti ha detto che, per Gheddafi, «game is over», «la partita è finita».
Comunque, nonostante la prolungata assenza, la Nato non sembra per ora prendere troppo sul serio le voci diffuse da ambienti della resistenza sulla possibile morte del raìs. E sta anzi cercando di aumentare la pressione sul regime libico. Nella notte di ieri, l’Alleanza ha condotto otto incursioni aeree e missilistiche nel giro di tre ore contro obiettivi nel centro della capitale colpendo il complesso di Bab al-Aziziya, all’interno del quale c’è anche una delle residenza bunker di Gheddafi, la televisione di stato al-Jamahiriya, l’agenzia di stampa ufficiale Jana, e alcuni trasmettitori radiotelevisivi. Secondo il generale Gabellini si è trattato di bombardamenti «ad alta precisione», fatti sempre con la preoccupazione di evitare vittime civili.
Secondo il portavoce del regime, Moussa Ibrahim, i bombardamenti avrebbero invece colpito gli uffici dell’alta Corte e della procura generale, nonché un palazzo sede di una organizzazione per l’infanzia. Quattro bambini sarebbero rimasti feriti. Ma ieri in serata, secondo fonti della resistenza libica, lo stesso Moussa sarebbe stato ucciso dai miliziani di Gheddafi mentre cercava di disertare e fuggire in Tunisia. Anche questa notizia, naturalmente, non ha avuto conferma.
«Dal 31 marzo, la Nato ha compiuto in media 150 uscite al giorno per proteggere i civili dalla violenza del regime, e ha colpito 6.300 obiettivi approvati», ha detto Gabellini, sottolineando che «tutti gli obiettivi sono di natura militare». Dopo aver stabilizzato la situazione a Bengasi e a Misurata, ha spiegato il generale, l’Alleanza ha avviato una seconda fase dell’offensiva aerea che prevede «l’attacco diretto ai centri di comando e controllo, per impedire alle forze del regime di dare ordini alle truppe sul terreno». I bombardamenti di ieri su Tripoli farebbero parte di questa seconda fase.
Sempre a proposito dei bombardamenti di ieri su Tripoli, il ministro della Difesa, La Russa, pur rifiutandosi di commentare singole operazioni, ha detto che «l’Italia non partecipa a bombardamenti su obiettivi all’interno di città  libiche», escludendo quindi l’intervento dei Tornado italiani nelle incursioni contro il bunker di Gheddafi.


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