by Editore | 4 Maggio 2011 7:20
ROMA – I dalemiani già si smarcavano da giorni. D’Alema, prima ha nicchiato, poi l’ha detto chiaramente: «In Libia è necessario accompagnare l’azione militare con la pressione politica e questo mi preoccupa. L’intervento militare era necessario ma è chiaro che con gli attacchi aerei non si risolve il conflitto…». E il Pd non può passare per il “partito dei bombardieri”. Men che meno mentre Pdl e Lega si ricompattano su posizioni «fintopacifiste»; meno ancora in piena campagna elettorale per le amministrative con i propri elettori sintonizzati da sempre sul pacifismo. Nasce da qui la correzione di rotta sulla mozione-Libia voluta da Bersani e D’Alema e messa nera su bianco da Franceschini. Il segretario del Pd ha parlato anche con Casini; ha fatto il punto nelle telefonate ieri pomeriggio con l’ex ministro degli Esteri e il capogruppo a Montecitorio. La mozione è stata perciò riformulata e punta ora a chiedere al governo di «lavorare per il cessate il fuoco». Sarà depositata solo dopo l’assemblea del gruppo, convocata per stamani alle 9, e che mira a fare rientrare i malumori, compresi quelli degli 11 (6 deputati e 5 senatori) “no war”. L’obiettivo primario è di farla sottoscrivere, o almeno votare, da tutta l’opposizione (ma due ore di tira e molla con Di Pietro hanno portato solo a ipotizzare astensioni incrociate). Però l’altro bersaglio, politicamente più rilevante, è di non apparire più interventisti del governo. «Non è che abbiamo sposato i bombardieri», scandisce Alessandro Maran vice presidente dei deputati pd. Un pomeriggio di limature del testo insieme con i Radicali Matteo Mecacci e Maurizio Turco, e di confronto con il Terzo Polo. Infine da una mozione generica («Continuare» sulla scia della Risoluzione Onu 1973) si passa a un documento che chiede «una iniziativa politico-diplomatica sotto il coordinamento delle Nazioni Unite per il cessate il fuoco»; la convocazione di una Conferenza di pace a cui partecipino Lega africana e Lega araba; di mettere fuori uso la strutture di propaganda mediatica del regime di Gheddafi (cosiddetto “emendamento Pannella”, perché era stato il leader radicale a suggerirlo nel testo originario Pr); il sostegno alla cooperazione civile; gli interventi umanitari per i profughi; i progetti per la difesa non violenta dei diritti dell’uomo e della democrazia. Di Pietro e i suoi restano freddi e ripetono: «Non c’è scritto il no ai bombardamenti». Al massimo appunto reciproche astensioni. I “no war” Pd, della sinistra e cattolici, annunciano l’astensione. Sono Vita, Gasbarra, Nerozzi, Grassi, Sabina Rossa, Silvana Amati, Di Giovanpaolo, Samperi, Ginoble, Bossa, Ginoble. «Non è che il partito ha cambiato testo per noi – ragiona Gasbarra – è che il sentire del popolo democratico non si poteva ignorare». Vita parla di «insofferenza nel partito». Rosa Calipari insiste sul cessate il fuoco.
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