by Sergio Segio | 11 Maggio 2011 7:14
ROMA – Esiste in Italia una vera e propria industria del riciclaggio che vale oltre il 10% del Pil, cioè più di 160 miliardi di euro, il doppio della media mondiale. Il suo giro d’affari oltretutto cresce «in funzione dell’apertura internazionale dei mercati e del ricorrere delle crisi economiche». Oggi i criminali arrivano «a sedere nei consigli di amministrazione; contribuiscono all’assunzione di decisioni economiche, sociali e politiche rilevanti».
E’ l’allarme di Anna Maria Tarantola, vicedirettore generale della Banca d’Italia. Nella sua definizione il riciclaggio rappresenta un «ponte» tra criminalità e società civile che offre ai malviventi «gli strumenti per essere accolti e integrati nel sistema», anziché «banditi» dalla società . E’ un reato pericoloso. «Il denaro sporco è di per sé “poco liquido”, spendibile senza difficoltà solo all’interno del circuito illegale», avverte Tarantola, che si occupa da una vita di banche e controlli. «Ha dunque un potere d’acquisto solo “potenziale” che il riciclaggio trasforma in effettivo». Spiega: per ripulire i propri capitali illeciti il criminale ha bisogno di avvalersi «di operatori economici operanti nei circuiti legali: banche, finanziarie, professionisti». Ha il potere di «coinvolgere e corrompere». Elevato è il «rischio di cattura» nei confronti di quegli operatori «inizialmente inconsapevoli della provenienza oscura dei fondi». Un fenomeno inquietante.
Nella visione della Banca d’Italia questi enormi flussi di denaro illecito, come già denunciato dal governatore Draghi, assumono una certa rilevanza pure sul piano macroeconomico; possono generare gravi distorsioni nell’economia legale, minandone la stabilità . Vanno contrastati. E’ «una sfida continua per il paese». Le norme non bastano. Tutti devono essere coinvolti.
A tre anni dall’introduzione nell’ordinamento nazionale della direttiva antiriciclaggio, i dati ufficiali fanno riflettere perché il mondo dei professionisti resta sordo. Le segnalazioni di operazioni sospette, infatti, sono triplicate, passando da 12.500 del 2007 a oltre 37 mila nel 2010. Ma arrivano soprattutto dagli intermediari bancari e finanziari e dalle Poste e questo «non può considerarsi soddisfacente». Dai professionisti invece, nel 2010 sono giunte solo 223 segnalazioni (erano 136 nel 2009 e 173 nel 2008). Di queste, un terzo dai dottori commercialisti, ragionieri e periti commerciali, circa un quinto dai notai.
Le segnalazioni hanno prodotto risultati investigativi che Tarantola definisce «rilevanti». Solo con riferimento al 2010, le anticipazioni fornite dalla Guardia di Finanza dicono che nell’anno sono state 4700 le segnalazioni sfociate in procedimenti penali. Intensa anche l’azione della Vigilanza che, sempre lo scorso anno, ha effettuato 175 ispezioni e 113 verifiche presso dipendenze bancarie (nell’hinterland milanese, nell’entroterra campano e in alcune aree della Sicilia). All’autorità giudiziaria sono state inviate 63 segnalazioni riferite a violazioni della normativa antiriciclaggio. Le sanzioni pecuniarie hanno colpito 43 intermediari e sono state pari a 4,1 milioni di euro (1,6 nel 2009).
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