Atene mette in saldo i suoi gioielli un casinò nell’aeroporto di Onassis

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Atene. Il salvataggio della Grecia è nelle mani di un aeroporto fantasma con una pista d’atterraggio coperta d’erbacce.
Con un Boeing 747-200 arrugginito parcheggiato in un angolo, un mucchio di rampe d’imbarco accatastate sul prato e il vento dal sud che porta un altro po’ di sabbia attraverso i vetri rotti del terminal delle partenze. Aerolimenas Hellenikou, recita un vecchio cartello all’ingresso. Aeroporto Ellenico. Il glorioso scalo della Atene degli Onassis e dei Niarchos. Rottamato in vista delle Olimpiadi 2004 per far spazio al modernissimo Elefterios Venizelos e diventato da allora – a fasi alterne – la croce e la delizia delle privatizzazioni greche. «Dia retta a me. Da dieci anni vengo a fare il bagno qui – dice Kostas Bakoula, sdraiato sotto l’ombrellone sulla spiagga di Glyfada, poche centinaia di metri dalle reti dello scalo – . Ogni anno mi dicono che è l’ultimo. Che l’Elleniko sta per essere venduto e qui arriveranno i privati con i loro alberghi costringendomi a far fagotto. E invece sono ancora qui».
Buon per lui che si alza per tuffarsi nelle acque non proprio caldissime dell’Egeo. Un po’ meno per la Grecia, impegnata in questi giorni in una delicatissima partita a scacchi (di cui l’Elleniko è uno dei pezzi più pregiati) destinata a convincere l’Europa che questa volta – quanto a privatizzazioni – il governo Papandreou sta facendo sul serio.
Il consenso nel Paese c’è: favorevole alle cessioni è l’80% dei greci, secondo un sondaggio del quotidiano To Vima. Il pressing internazionale è fortissimo. Jurgen Stark, mastino tedesco nel Consiglio della Bce, ha provveduto venerdì scorso a rimettere i puntini sulle “i”. Atene vuole nuovi aiuti? Va bene. Purché metta subito all’asta il suo patrimonio pubblico «il cui valore è di almeno 300 miliardi di euro», il 90% del debito del Paese.
Peccato che la matematica, quando si parla di privatizzazioni qui, corra spesso il rischio di diventare un’opinione. Prendiamo la telenovela dell’Elleniko. Settanta ettari di terreno in una posizione da sogno, a sette chilometri dal Partenone e di fronte alle acque blu del Mediterraneo. Da dieci anni il fior fiore degli immobiliaristi europei (e ora mediorientali) bussa con offerte da favola alla porta del Tesoro greco per l’acquisto. Ma, fino ad oggi, non se n’è fatto niente. «Siamo in Grecia, le cose vanno così – ride Ioannis Maltezou, portiere al Palace Hotel, appena dietro la base velica delle Olimpiadi 2004 – Una volta si è messo di traverso un comitato di cittadini, un’altra è intervenuto un politico di Nea Demokratia di queste parti». Morale: la salsedine continua a mangiare un centimetro quadro alla volta la fusoliera del Boeing abbandonato. E le erbacce avanzano. Christos Kortzidis, sindaco di Ellenikon con tanto di busto di Lenin sulla scrivania, è sicuro che «la privatizzazione non passerà  mai». Una dichiarazione di guerra da non prendere sottogamba visto che lui da solo, con tre settimane di sciopero della fame nel 2007, è riuscito ad ottenere l’accesso libero alle spiagge della zona.
Beghe locali, verrebbe da dire. Non fosse che il governo Papandreou ha affidato al suo piano di privatizzazioni da 50 miliardi l’ultima speranza di evitare il default. In vendita ci sono il Pireo, le tlc, gas, acqua, luce. Saldi di Stato in cui rientrano, sfidando l’esperienza del passato, anche le piste e i terminal del vecchio aeroporto. «Questa volta abbiamo fatto le cose per bene – dice il portavoce del premier – Si è parlato con i cittadini, presentato i piani. C’è tanto verde, parchi per la gente. E mi pare che siano tutti d’accordo». Sarebbe un miracolo in un Paese che ancora ieri sera ha portato in piazza, di fronte al monumento al Milite Ignoto di Atene, almeno 20 mila manifestanti imbufaliti.
L’Esecutivo del Pasok, per ottenere il via libera dagli enti locali, ha deciso di tenere in mano le redini del progetto, affidato alla matita di Josep Acebillo, l’architetto che ha cambiato il volto di Barcellona per le Olimpiadi ‘92. Poi ha trovato un acquirente d’eccezione: il Fondo sovrano del Qatar. Pronto a mettere sul tavolo 5 miliardi per ottenere il controllo del vecchio scalo dove sorgeranno alberghi di lusso, centri commerciali e forse un casinò. «Noi incrociamo le dita», dicono al Tesoro dove di quei miliardi hanno bisogno come il pane anche per smentire i tanti scettici convinti che qui non si riuscirà  a vendere niente: «La Grecia ha attirato dal ‘90 ad oggi 25 miliardi di investimenti esteri – dice Daniel Gros del Centro di Studi politici europei – e dubito che ora possano d’improvviso pioverne il doppio». «Io comunque spero non inizino a privatizzare proprio da qui – dice Bakoula avvolgendosi in un asciugamano per proteggersi dal vento – sono sicuro che l’anno prossimo farò ancora il bagno dietro l’Elleniko». Papandreou, la Grecia (ma anche Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia) si augurano di cuore che debba cercarsi un’altra spiaggia.


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