Alla resa dei conti
E come loro non sta male il mazzetto di deputati seduti in platea assieme ad alti funzionari della Cassa depositi e prestiti. Insomma, una domanda sbagliata in una situazione sbagliata. Ma questo è quello che passa il governo Berlusconi per il quale, con il Rapporto presentato ieri, la Corte dei conti ha decretato di fatto la fine: sarà il prossimo governo (magari di centrosinistra) a dover realizzare la manovra correttiva «lacrime e sangue» reclamata dai magistrati contabili e prima ancora dalla Banca d’Italia, oltre che da economisti non distratti dal chiacchiericcio.
Secondo La Corte dei conti nei prossimi anni, vista la crescita insufficiente, occorrerà varare manovre correttive da 46 miliardi l’anno. Una enormità che ha la causa nel nuovo Patto di stabilità dell’Unione europea. Per rispettare i nuovi vincoli europei sul debito occorrerà , infatti, un intervento «del 3% all’anno, pari, oggi, a circa 46 miliardi».
Si tratta di «un aggiustamento di dimensioni paragonabili a quello realizzato nella prima parte degli anni Novanta per l’ingresso nella moneta unica». Un aggiustamento opera di Prodi, vista l’incapacità della destra di sanare i conti, come dimostrano i dati dei bilanci del quinquennio successivo alla vittoria elettorale del 2001 e poi a quella del 2008, dopo una pausa biennale nella quale Prodi aveva cercato di tappare nuovamente i buchi lasciati da Berlusconi nel 2006.
Forse Tremonti e Berlusconi non sono fortunati: le fasi di recessione e di rallentamento dell’economia si abbattono sempre su di loro. Ma è altrettatnto vero che nulla hanno fatto per cercare di non far sprofondare l’economia come ci ha raccontato due giorni fa l’Istat. E ora la Corte manda a dire che con questi chiari di luna non c’è spazio per riduzioni della pressione fiscale che, anzi, dovrebbe essere incrementata, magari andando a pescare la massa di evasori che si arricchisce su una economia sommersa di 275 miliardi di euro l’anno.
E manda anche a dire che i rischi sono tantissimi perché le manovra restrittive non possono essere realizzate secondo il modello Tremonti con tagli indistinti per tutti e per tutto, ma devono essere mirati per non deprimere ulteriormente la crescita. Un tempo si diceva: «dare gli otto giorni» per il licenziamento.
La Corte non usa tempi così brevi, ma già lunedì dopo il risultato dei ballottaggi, il governo potrebbe saltare: un futuro come quello prospettato dalla Corte dei conti non eccita questa maggioranza che si è dimostrata incapace di mantenere fede alle promesse fatte come ieri ha rinfacciato a Tremonti (sulla abolizione delle provincie, Sud, modifica dell’articolo 41) anche Luca di Montezemolo che si fa sentire di nuovo raccogliendo il crescente malcontento degli industrali.
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