Alemanno exit strategy
«Che Gianni abbia un forte interesse per la politica nazionale è certo. Che voglia mollare Roma invece sarebbe illogico. Perché mai dovrebbe lasciare una posizione di prestigio, da cui può esercitare anche una leadership nazionale, per tornare a fare il deputato semplice?». Il democristianissimo vicesindaco Mauro Cutrufo risponde così alla domanda secca: cosa c’è di vero nei boatos che danno il sindaco di Roma Alemanno con la valigia in mano in cerca di una exit strategy dal disastro della sua amministrazione? La risposta di Cutrufo è obbligata: faccia presentabile, esperienza, modi affabili, buon rapporto con le gerarchie. Di fatto,è il tutore del ragazzo con la celtica al collo.
Chi invece lavora accanto al sindaco, tiene la bocca cucita. Salvo poi indicare, per così dire, una linea interpretativa, un’ermeneutica dell’ultimo Alemanno: «Legga bene tutte le uscite del sindaco. Anche quelle contro i ministeri al nord. Difendono Roma? Certo. Ma ormai con un piglio da leader nazionale». Verifichiamo sui testi. Ieri il sindaco tuonava dal Messaggero il suo no al trasferimento dei ministeri, l’ultimo sberleffo di Bossi, minacciando la piazza perché «fare quest’operazione significa violare il patto che tiene unito il centrodestra». Il «centrodestra», dunque. Mica la Capitale.
Il sindaco – che pure giura di volere finire il mandato, che scade nel 2013 – ha capito che Roma non è più casa sua. La fiducia dei romani è colata a picco. Secondo un monitoraggio Ipsos, datato aprile, il giudizio positivo sul sindaco e sulla giunta in due anni è crollato dal 60 a 42 per cento e dal 40 al 31. Degli interpellati, alla domanda «se ci fossero le elezioni comunali per quale di questi candidati voterebbe», oltre il 56 per cento ha risposto Zingaretti. Alemanno, solo il 43,8. Né va meglio per il Pdl, che prende il 42,8 contro il 43,8 del centrosinistra al netto di centristi e sinistra (4,4). Quanto alla fiducia fra i leader della maggioranza, dal marzo 2010 al marzo 2011 Alemanno perde 11 punti (da 49 a 38).
Questa, per il sindaco, è l’amara contabilità di un disastro. E di numeri ne mancano ancora all’appello: come il debito della città . «Alemanno giustifica ogni sua riforma mancata con il «buco» che avrebbe ereditato da Veltroni. Ma dopo tre anni di giunta e due commissariamenti non sono ancora riusciti a quantificare questo debito», spiega Riccardo Magi, segretario dei Radicali di Roma. I conti non tornano, al punto che neanche Il Tempo ormai riesce a sorvolare sui guai della Capitale. Quanto al Messaggero, il suo patron Francesco Gaetano Caltagirone – il decimo uomo più ricco d’Italia, in continua ascesa – era stato lui a sdoganare la vittoria di Alemanno («Serve una discontinuità », aveva sentenziato nel 2008). Oggi il giornale romano non è per niente tenero con il «suo» sindaco.
Anche il Vaticano ha freddato il rapporto con il Campidoglio; prima gli sgomberi cruenti dei campi rom (a Pasqua un gruppo di nomadi ha occupato il piazzale della Basilica di San Paolo). Via via fino alle incomprensioni degli scorsi giorni sui conti per l’organizzazione della beatificazione di Giovanni Paolo II. Poi la scomunica finale: l’Osservatore Romano bacchetta il sindaco per la scelta della statua di Woytila, in realtà più che generosamente piazzata davanti alla Stazione Termini. «Un enorme monumento indistinto più che un immediato e inequivocabile omaggio a Giovanni Paolo II», ha scritto l’organo ufficiale. Ora una petizione chiede di portare via il papone. La promuove il Pdl. La conflittualità interna al Pdl è diventata insostenibile per Alemanno: il potente Fabio Rampelli (l’uomo che, alle regionali 2010, ha dirottato tutti i voti dalla lista esclusa del Pdl a quella dei miracolati di Renata Polverini) sul piede di guerra, lascia filtrare l’intenzione di sostituirlo, a scadenza, con la ministra Meloni.
Infine, ma non ultime, ci sono le inchieste su Parentopoli, le assunzioni allegre con cui il sindaco ha premiato amici e amici degli amici, che veleggiano verso i rinvii a giudizio. Conclusione: la corsa per il secondo mandato, tanto più contro un nome «forte» come Zingaretti, sfuma. Per questo Alemanno accarezzerebbe un piano. Di fuga, di salvezza. Sperare, puntare sulla vittoria di Pisapia a Milano, su un cataclisma nel governo e sul voto anticipato. Così potrebbe liberarsi di Roma – liberare Roma – e tornare alla politica nazionale. Non più – come sperava all’inizio – da vice di Berlusconi ma più mestamente da capocorrente di quel che resta degli ex An nel Pdl. Visto che gli altri ex colonnelli di Fini in corsa, La Russa e Gasparri, ormai sono trasferiti armi e bagagli nella corte di Arcore.
Da qui nasce il pranzo segreto – ma subito beccato – di lunedì con Adolfo Urso e Andrea Ronchi, i due finiani in uscita da Fli. E da qui nascono gli attacchi a Bossi, alla leghizzazione del Pdl, fino al ventilato corteo contro il trasloco dei ministeri. Che fa ghignare il rivale di sempre Storace: («Alemanno non vuole cortei a Roma, ma ne propone uno contro Berlusconi. Scherzi a parte?».) Ma a quel che resta degli umiliati missini nel Pdl, potrebbe ridare un po’ di fiato. Sempreché Berlusconi permetta.
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