Affonda un barcone, strage nel Mediterraneo

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PALERMO – Erano in troppi su quel peschereccio. Oltre seicento tra donne, uomini e bambini. Erano tutti in fuga dalla guerra e dalla fame. Speravano di raggiungere Lampedusa. Ma la “carretta” che li ha presi a bordo, in un approdo vicino Tripoli, si è spezzata poco dopo avere lasciato le coste libiche. Il viaggio, cominciato all’alba di venerdì, è durato pochissimo ed è finito in tragedia. Il bilancio dei morti è incerto, ma di sicuro hanno perso la vita 16 persone e fra loro tre neonati. I dispersi sono centinaia.

Poco prima, dallo stesso posto, era partito un altro peschereccio con 655 migranti a bordo, tra i quali 21 bambini e 82 donne. A loro è andata bene: ce l’hanno fatta, sono arrivati a Lampedusa e da lì hanno provato a mettersi in contatto con i parenti saliti sul barcone naufragato. Pensavano fossero in navigazione. Le notizie, tragiche, le hanno ricevute dalla terraferma. Qualcuno si è messo in contatto con loro da Tripoli e ha raccontato cos’era successo al largo delle coste libiche. Nel centro di accoglienza di Lampedusa, Ifrah Fareh Adel, 20 anni, somala, dice singhiozzando di avere perso nel naufragio il figlio di appena 4 mesi, il marito e un cugino.
«Questa ennesima tragedia – afferma Laura Boldrini, portavoce dell’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati – dimostra come il regime libico sia senza scrupoli e non esiti a mettere a rischio la vita di centinaia di persone facendole partire con imbarcazioni assolutamente fatiscenti e non adatte alla traversata allo scopo di creare pressione migratoria sui Paesi della sponda Nord del Mediterraneo».
Nella notte del 5 aprile scorso un’altra imbarcazione era naufragata a trenta miglia da Lampedusa. Morirono almeno 300 persone, si salvarono solo in 53. Complessivamente, dal 26 marzo circa 800 migranti, partiti dalle coste del Nord Africa, sono stati inghiottiti dal mare. Con questo nuovo naufragio l’elenco è destinato ad aumentare pesantemente.
«È una contabilità  macabra – sottolinea ancora Laura Boldrini – che denota la necessità  di fare uno sforzo aggiuntivo nel Mediterraneo sia da parte dei mezzi commerciali, sia da parte dei mezzi militari che devono prestare i soccorsi: serve un sistema di coordinamento per salvare la vita a queste persone».
A Lampedusa gli sbarchi sono ripresi con la stessa frequenza dei giorni dell’emergenza. Una “carretta” con circa 700 persone a bordo è stata avvistata in serata a circa 32 miglia dall’isola. A scortarla, tre motovedette della guardia costiera, due delle guardia di finanza e un elicottero. Il nuovo gruppo di migranti si aggiunge agli 842 arrivati in mattinata su due barconi. 
Il primo peschereccio, con 187 persone, tra cui 19 donne e un bambino, ha rotto il timone a dieci miglia da Lampedusa: era alla deriva sospinto dal mare forza 3 e dalle raffiche di vento. Tre militari della guardia di finanza, a bordo di una delle motovedette che stavano scortando il peschereccio, si sono lanciati sull’imbarcazione per riparare il guasto. La navigazione è poi ripresa regolarmente. Il secondo peschereccio, come detto, aveva a bordo 655 migranti, tra i quali 82 donne e 21 bambini. Tutti di origine subsahariana, tutti partiti dalla Libia. Gli extracomunitari presenti sull’isola hanno raggiunto nuovamente quota 1.500.
In molti saliranno sulla nave Flaminia della Tirrenia per essere portati nei centri di accoglienza allestiti dopo l’esplosione dell’emergenza immigrazione. I tunisini verranno rimpatriati. E tra loro verosimilmente ci sarà  anche Nizar, 23 anni, che è sbarcato a Lampedusa due volte in due settimane. Dopo il primo rimpatrio non s’è perso d’animo, ha pagato nuovamente gli scafisti, si è imbarcato sulla prima “carretta” disponibile ed è tornato. «Possono rimandarmi indietro cento volte – racconta – io continuerò a tentare. Voglio raggiungere mia moglie e i miei figli in Olanda e nessuno riuscirà  a impedirmelo».
Un’imbarcazione, con un centinaio di tunisini, ieri è stata fermata dalle motovedette del Paese nordafricano e ricondotta al punto di partenza. Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, definisce l’operazione «una cosa importante, perché per la prima volta le autorità  tunisine hanno fermato un barcone». E questa, aggiunge, «è la dimostrazione che l’accordo fra i due governi funziona». Ma il fronte dell’emergenza si è ormai spostato dalla Tunisia alla Libia. «C’è bisogno che la guerra finisca e finisca presto, bisogna trovare una soluzione che dia stabilità  alla Libia – dice Maroni – altrimenti saremo costretti ad assistere quotidianamente ad arrivi massicci di profughi sulle nostre coste».

 


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