Usa, assalto finale a sanità  e pensioni

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WASHINGTON – Seimila miliardi di dollari di tagli alla spesa, per evitare che l’America «diventi una grande Grecia», per smetterla di essere «ricattabili dalla Cina», per ridurre il peso dello Stato nell’economia sotto il 20% del Pil in quattro anni. E trasformare gli Stati Uniti nel più grande paradiso fiscale del mondo, con un’aliquota fiscale massima del 25% per tutti. Il costo: la privatizzazione o lo smantellamento della Social security (pensioni) e del Medicare (assistenza sanitaria agli anziani) i due pilastri del Welfare le cui origini risalgono rispettivamente al New Deal di Franklin Roosevelt e alla Great Society di Lyndon Johnson. E’ il piano presentato ieri dal Partito repubblicano, l’annuncio della nuova rivoluzione conservatrice, decisa a consegnare uno Stato minimo alle prossime generazioni. La mente del piano è Paul Ryan, presidente della commissione Bilancio alla Camera, che dice: «Questo non è un progetto di bilancio, questa è una nobile causa, per la quale i cittadini hanno eletto una nuova leva di rappresentanti». L’allusione è al Tea Party, il movimento anti-tasse che ha favorito l’avanzata della destra al Congresso nel novembre scorso. E l’intransigenza sui tagli può far precipitare una crisi immediata. Senza arrivare ai 6.000 miliardi di risparmi può bastare una differenza di “soli” 28 miliardi per provocare entro 48 ore la chiusura di molti uffici federali. E’ la distanza tra la Legge di bilancio votata dalla Camera (maggioranza repubblicana) con 61 miliardi di tagli, e quella votata dal Senato (maggioranza democratica) che ridurrebbe le spese di 33 miliardi. Un tentativo in extremis di raggiungere un compromesso bipartisan è fallito ieri, nel dialogo tra Barack Obama e il presidente della Camera John Boehner. A meno di un miracolo, venerdì a mezzanotte scadono le autorizzazioni di legge per le spese “discrezionali” dello Stato. Come accadde nel 1995-1996 durante il braccio di ferro tra Bill Clinton e la maggioranza repubblicana al Congresso, molti uffici pubblici sarebbero costretti a sospendere la propria attività , licenziare i contrattisti, cancellare appalti e pagamenti alle aziende. Poi comincerebbe lo “scaricabarile”: di fronte ai disagi per i cittadini, ciascun partito cercherà  di addossare la responsabilità  all’altro. Nel 1996 in quel gioco vinse Clinton, fu rieletto per il secondo mandato. Anche stavolta le manovre pre-elettorali hanno un ruolo fondamentale. Lo stesso vale per il piano dei 6.000 miliardi, il drastico ridimensionamento di pensioni e sanità , l’abbattimento delle aliquote fiscali: un progetto così radicale non ha i numeri per passare al Senato né potrebbe superare un veto presidenziale. Ma quel piano è un sunto dei valori su cui la destra passerà  al vaglio i suoi candidati alla Casa Bianca, poi farà  campagna per sconfiggere Obama nel novembre 2012. «Stiamo cambiando tutta la dinamica politica», ha detto ieri il capogruppo repubblicano alla Camera Eric Cantor. Per la prima volta la destra osa avventurarsi su un terreno che neppure il suo padre storico Ronald Reagan volle esplorare: l’attacco frontale ai diritti acquisiti che beneficiano anche vasti strati dei ceti medioalti.


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