Una guerra strana, declassata in fretta

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Allora ha perso? Non si sa. E gli insorti? Con gli aerei internazionali autorizzati dall’Onu vanno avanti. Appena quegli aerei stanno fermi, gli insorti fuggono su trabiccoli scalcagnati, sparacchiano in aria con i kalashnikov, ma con forza e impatto militare pari a zero. Vincono? Perdono? E nella comunità  internazionale chi vince dopo che l’Europa si è spezzata, le nazioni sono andate per conto proprio, l’America rilutta, la «rivoluzione dei gelsomini» è seppellita dalla disattenzione dei media mondiali? Che ne è della sollevazione in Siria, esplosa dopo che l’Onu aveva autorizzato i raid in Libia? Quelli che detestano Sarkozy, a cominciare dalle truppe combattive del neo-pacifismo di destra, se la prendono con le smanie francesi. Ma proprio loro, incendiati di ardore difensivo nei confronti del despota di Tripoli con cui si condividevano affari e spettacoli circensi, avevano accusato Sarkozy di creare un disastro dando troppa corda ai ribelli libici. Dicevano, in sintonia con Gheddafi, che dietro gli insorti ci fosse Al Qaeda. Deve essere davvero alla frutta, Al Qaeda, se affida il suo destino eversivo e terroristico a bande disordinate e poco avvezze persino alla guida degli autocarri in fuga. Ma anche il fronte «guerrafondaio» dovrà  ripensare i modi dell’appoggio a truppe raccogliticce, impotenti, militarmente inette fino a punte grottesche. Ecco, il grottesco. Difficile che in questa guerra pazza qualcuno sia riuscito ad evitare una punta di grottesca inconcludenza. Non la Francia, la cui muscolarità  non sembra raggiungere obiettivi adeguati alla gloria che quella nazione meriterebbe. Non gli Stati Uniti, che fanno la guerra facendo finta di non farla, vanno all’avanguardia ma si vogliono mostrare in retroguardia. Non Gheddafi, che si ritrova nel suo bunker, abbandonato da una parte dei suoi, ridotto a spararle sempre più grosse e addirittura a supplicare Obama, richiamandolo a comuni matrici religiose, di finirla con l’ostilità  nei confronti del suo regime. Non l’Europa, politicamente defunta in questa strana e inafferrabile guerra. Non l’Italia, che in due mesi ha cambiato idea almeno quattro volte sulla questione libica e che, fattasi più tenue e sopportabile la nostalgia per il dittatore che aveva promesso stabilità  e affari, cerca con affanno i segni del «dopo» , un rapporto di interlocuzione con chi, forse, dovrebbe arrivare al posto di Gheddafi. E ora, dopo appena qualche settimana, la guerra libica abbandona le prime pagine dei giornali. Chi è interessato alle traiettorie del petrolio si industria per trovare una linea e una prospettiva. La «rivoluzione araba» viene abbandonata a se stessa, nel timore che l’estremismo fondamentalista rompa gli argini e tradisca le aspirazioni liberali delle giovani piazze in rivolta. Tutto viene travolto dalla questione dell’immigrazione. Con i giovani arabi che vedono nell’Europa e nell’Occidente modelli di inaffidabilità : questo sì carburante per i fondamentalisti che possono dimostrare la loro superiorità  sulle democrazie indecise a tutto. Mentre le notizie da Bengasi e da Misurata, da Tripoli e dalla Sirte appaiono sempre più lontane, confuse, avvolte in un’ovatta di disinformazione creata dalle propagande contrapposte. La guerra più strana e scervellata. Dove l’unica cosa vera è il sangue di chi in Libia ci ha rimesso la vita. Non sapendo, forse, nemmeno il perché.


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