Una condanna democratica

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«L’esilio esiste da sempre in diverse forme», dice Luciano Canfora. «Bisogna distinguere tra la scelta volontaria di chi si allontana dalla comunità  per sottrarsi a una possibile condanna, pratica diffusa nelle società  arcaiche, e la misura punitiva comminata da un tribunale per reati di sangue». Dunque in principio nella Grecia classica l’esilio non aveva carattere dichiaratamente politico? «L’esilio doveva avere a che fare con un reato, dunque poteva essere utilizzato con finalità  politiche ma occorreva trovare un pretesto penale. In una fase successiva – tra il 508 a.C. e il 487 a.C. – ad Atene sarebbe stato inventato uno strumento giuridico di natura esplicitamente politica, l’ostracismo. Serviva ad allontanare dalla città , per un periodo massimo di dieci anni, una persona che veniva giudicata molto pericolosa per la democrazia in quanto sospettata di aspirare alla tirannide». Che cosa vuol dire “aspirante alla tirannide”? «Vuole un esempio perfetto? Potremmo trovarlo nella politica italiana di oggi». Preferirei mi parlasse di Aristide. «Aristide fu tra le personalità  più notevoli colpite da ostracismo, ma prima di lui vennero ostracizzati Ipparco –non il figlio del tiranno Pisistrato –, più tardi Temistocle e Cimone, l’avversario di Pericle. Rispetto all’esilio, l’ostracismo ha un vantaggio: chi ne viene colpito, non perde i beni. La pena può essere sospesa dopo poco tempo: Aristide fu richiamato perché incombeva il pericolo persiano. Sono ostracizzate le personalità  giudicate smisuratamente ambiziose». In altre parole, una misura democratica. «Aristotele pensava che l’ostracismo fosse stato inventato da Clistene, fondatore della democrazia dopo la cacciata dei figli di Pisistrato. Ma la sua prima applicazione risale al 487 a.C., vent’anni più tardi». Chi lo sanzionava? «Si svolgeva una votazione, a cui dovevano partecipare almeno seimila cittadini: una clausola di sicurezza, altrimenti sarebbe bastato un gruppetto di persone. La scheda elettorale era un coccio, ostrakon in greco. L’istituto dell’ostracismo durò circa 70 anni, ma contemporaneamente era in uso anche l’esilio, che però veniva comminato in casi eccezionali». Un destino peggiore della stessa morte. Così si evince dalla Medea di Euripide. «Mi pare esagerato. Comportava la perdita di tutto, cittadinanza e beni. E anche della dignità . Nella legge di Draconte (VII secolo a.C.) si chiamava atimia, ossia privazione della dignità . Questo voleva dire che chiunque aveva licenza di uccidere la persona atimizzata. Il provvedimento però cadde in desuetudine». Gli esuli più illustri? «Senofonte fu condannato all’esilio perché s’era macchiato di reati di sangue durante il governo dei “trenta tiranni”. Più o meno nello stesso periodo – parliamo del V secolo a.C. – Alcibiade scelse volontariamente di fuggire per sottrarsi a un processo: era accusato di aver commesso reati di carattere sacrale. Però la lingua greca non distingue tra atto volontario (autoesilio) ed espulsione sancita da un tribunale. Ed è importante richiamare l’attenzione su una circostanza». Quale? «Nella città  greca manca una concezione moderna dello Stato, ossia di un’entità  al di sopra dei cittadini. Lo Stato sono le persone: la polis è l’insieme dei cittadini. Se uno di loro entra in collisione con la comunità , non si sente umiliato ma sceglie di combattere. Così fece Alcibiade fuggendo a Sparta. All’esule viene riconosciuto il diritto di comportarsi come nemico».


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