Una commedia da tre soldi

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Scene d’una sgrammaticata commedia da due soldi, i cui attori improvvisano. Se la res iudicanda sia reato comune o ministeriale, lo diranno i giudici: data una condanna, l’appellante ripropone la questione; qualora soccomba anche lì, gli resta il ricorso in Cassazione. I cervelloni credono d’avere sferrato un colpo da maestri: «dichiariamo improcedibile l’accusa» (il clou esoterico sta nel predicato), «così il Tribunale, spalle al muro, deve ammettersi incompetente o sollevare un conflitto d’attribuzioni e tutto rimane sospeso». Ogni sillaba manda il suono delle monete false. Gli onorevoli straparlano, ossequenti al regime egomaniaco. Ipse dixit: è ai ferri corti col «brigatismo giudiziario», tale essendo nel suo universo deforme l’idea che la legge vincoli anche l’impunito ricchissimo; castigherà  le toghe proterve, bisognose «d’una lezione»; e i famigli rabberciano norme à  la carte. La «sovranità  del Parlamento» (i berluscones la vantano almeno due o tre volte pro die) è formula italiota d’una monarchia assoluta prima che s’installino gli embrioni del futuro Stato costituzionale: le attuali Camere sono cassa armonica dell’esecutivo; vi siedono persone ignote agli elettori; le nominano agenti del beneplacito sovrano. Chiaro quale sia il modello: platee stupefatte dalla droga mediatica forniscono voti; lassù, accessibile soltanto alle baiadere, siede Dominus Berlusco, ogni mattina più ricco (quanto sia disinteressato, attento solo al bene collettivo, fuori della mischia d’affari, lo dicono sordi ringhi con cui accoglie l’estromissione dalle Generali della devota lunga mano Cesare Geronzi). Niente vieta che vecchi organi rimangano, anzi conviene tenerli in piedi, finti vivi, palcoscenico d’una troupe innocua: Sua Maestà  ne prende uno o una qualunque nel mucchio e li addobba; voilà , diventano ministri o figure analoghe; gerarchie adoranti esercitano poteri subordinati in conflitto permanente; griglie selettive escludono i diversi. Tale struttura subpolitica connota un Paese solo geograficamente europeo, dal futuro miserabile perché lo sviluppo economico richiede tensione psichica, cultura, lavoro duro, regole ferme, mentre qui regnano privilegi parassitari, variegato malaffare, gusti fraudolenti, mente corta, animule spente. Confessa una vocazione ministeriale, né punta basso aspirando alla Farnesina, la svelta figliola che, secondo l’accusa, sovrintendeva alle ospiti della reggia: nei dialoghi intercettati coltiva un argot dal percussivo registro turpiloquo; e sotto accusa d’avere gestito prostitute, conferma la candidatura. Qui s’indigna uno che scrive in décor grammaticale, storpiando impetuosamente i concetti: non marchiamole con quel nome (nei Tre moschettieri Milady porta una P impressa a fuoco sulla spalla); sono damigelle intente allo scramble mondano; è risorsa anche il corpo. Lo stesso maestro pensatore sventola liberalismo sui generis e culto berlusconiano, classico ossimoro del genere «sole nero» o «ghiaccio bollente». Gli aneddoti dicono a che punto siamo nella corsa al Brave New World. La malattia italiana non risponde più alla solita farmacopea. L’Unico squaglia gravi accuse in falsa ilarità  turpiloqua, spaventando persino gli obbligati a ridere. Rebus sic stantibus, è imputato in quattro sedi. Da tre pendenze rognose lo liberano due leggi che le Camere votano sul tamburo, tagliando ancora la prescrizione e seppellendo d’un colpo l’intero processo, appena scadano dei termini. La terza toglie al giudice il vaglio del materiale probatorio offerto dalle parti: se la difesa indica mille testimoni, saranno escussi tutti, in mesi e anni, finché suoni la campana; l’aula chiude i battenti; non se ne parla più. I giudizi diventano materia volatile: dibattimenti fluviali, processi brevi, larghe sacche d’oblio; fantasie carnevalesche da Nave dei matti? No, leggi italiane. L’ordinaria prassi politica risulta impotente contro l’abuso sistematico, tanto l’ha pervertita Re Lanterna. Temendo la sfiducia, compra degli oppositori (gesto automatico, gli viene naturale: cambiano uniforme, esigono i prezzi, li incassano; il transito non è finito, sappiamo dal coordinatore. La secessione nel Pdl inalberava insegne virtuose ma i bei giochi durano poco. Le anime transumano salmodiando motivi edificanti. Di questo passo, la legislatura compie l’intero ciclo: tra due anni divus Berlusco s’insedia al Quirinale, portandovi i divertimenti che sappiamo (accadeva sotto Rodrigo Borgia, Sua Santità  Alessandro VI; vedi monsignor Iohannes Burckardus, cerimoniere impeccabile e cronista meticoloso nel Liber notarum: domenica sera 31 ottobre 1501 danno spettacolo orgiastico «quinquaginta meretrices honestae»); presiede il consiglio l’attuale guardasigilli, viso spirituale; nella ratio studiorum dei licei appare una nuova materia, Arte dell’osceno. Tale essendo il presumibile futuro, è questione capitale come scongiurarlo: discutiamone perché i tempi stringono; tra poco il fuoco lambirà  le polveri (scriveva Walter Benjamin, cultore d’allegorie e metafore).


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