by Editore | 23 Aprile 2011 6:23
Che, guarda caso, ha la stessa etimologia di privatizzazione. Si pensi alle tecnologie idriche, per quel tempo stupefacenti, dei Sumeri o più tardi alla maestosità degli acquedotti romani. Facevano capo a società floride, che avevano inventato modi per distribuire l’acqua liberamente a tutti, per affrancarsi dal limite di doversi insediare presso i fiumi e le sorgenti. Era tutta acqua pubblica, cosa che a quel tempo nessuno avrebbe mai messo in discussione. Anzi, i castellum acquae di epoca romana, dove finiva l’acqua degli acquedotti per essere poi attinta, erano opere pubbliche a volte anche sfarzose, donate pomposamente alla popolazione. Pomposamente, ma “donate”. Nel Medioevo è poi scattato una sorta di blackout: tutta quella sapienza, quella tecnologia e ingegnosità condivise, al servizio della gente e del suo poter crescere e progredire, si bloccarono. Le persone si misero ad attingere acqua dai pozzi, la stragrande maggioranza dei quali – coincidenza? – erano individuali, privati. La cosa alla lunga favorì il diffondersi di malattie e insalubrità , tempi bui. C’è un’altra storia in tema che mi ha sempre colpito. Circa 9000 anni fa le popolazioni del Centro America decisero di stabilirsi in una valle in Messico, che va da Tehuacà¡n a Coxcatlà¡n. Erano zone fertili, con abbondanza d’acqua. Quando poi arrivarono gli spagnoli, millenni dopo, trovarono una civiltà florida e una fitta, complessa, geniale rete di canali e bacini idrici che garantivano abbondanza d’acqua tutto l’anno grazie a un sistema che integrava perfettamente le risorse sotterranee e la raccolta d’acqua piovana. Questi canali delimitavano anche le terre, e gli spagnoli per espropriarle agli indios li smantellarono completamente: oltre alla violenza come mezzo di sottomissione usarono anche la privazione dell’acqua. Con i conquistadores non iniziò certo un periodo risplendente per quella civiltà indigena, fu lo sprofondo nel buio. Oggi questa zona lotta strenuamente contro la desertificazione ed è una delle più povere del Messico, nonostante le fonti d’acqua sotterranee ci siano ancora e diano acqua pregiata, da bere, tanto che se si chiede dell’acqua minerale in un bar di Città del Messico si può tranquillamente domandare della “Tehuacà¡n” senza timore di essere fraintesi. Peccato che quelle fonti e quelle bottiglie di minerale ora appartengano alla Coca-Cola. Se l’acqua non è libera la gente non è libera. Se l’acqua non è libera, disponibile e abbondante, la civiltà fa un passo indietro. Quanto serve guardare al passato, a volte. I mezzi e mezzucci che oggi usano le multinazionali per accaparrarsi l’acqua in tutto il mondo, e la politica irresponsabile che in questa missione d’imbarbarimento gli regge il moccolo, prona e instupidita dal fiutare anche lontanamente qualsiasi business, sono deleteri per la nostra libertà . Privatizzare un bene comune come l’acqua significa privarne qualcuno, e non c’è nessun richiamo all’efficienza o altra scusa che tenga. Perché l’efficienza dei beni comuni dev’essere pubblica, al limite pomposamente “donata” senza chiedere nulla in cambio. Non è soltanto una questione di principio, lo dimostra la storia. Privare gli italiani del diritto di esprimersi attraverso i referendum è prima di tutto becero, un triste regredire della nostra civiltà . Sorvoliamo sui reali motivi, è un periodo buio e ci siamo dentro fino al collo.
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