by Editore | 10 Aprile 2011 5:58
In Libia si lavora sottotraccia per disgregare dal di dentro il regime di Gheddafi, ma intanto le forze del Raìs rischiano di battere la Nato oltre ai ribelli. E siccome a questo non si può arrivare, infuria il dibattito sull’ultima ratio: truppe di terra, armi agli insorti, accettare le possibili perdite e far volare più bassi gli aerei dell’Alleanza? Tutto è possibile, ma che vinca Gheddafi no. In Siria le febbre sale, complici i militari legati al potere alawita degli Assad. Ma così, a colpi di stragi, non potrà durare. E allora quali saranno i contraccolpi in Libano, in Iraq, in Iran, a Gaza? E Israele, resterà ancora a guardare? Esplosioni quotidiane scuotono lo Yemen. La Giordania, l’Algeria, l’Oman, forse il Marocco sono a rischio. Il Bahrein è stato normalizzato da una dottrina Breznev in salsa saudita. Ma proprio l’Arabia Saudita ha paura e fa paura, più di tutti. Basta questo rapido sorvolo per trovare conferma a quanto in Occidente si desiderava e insieme si temeva: la Rivoluzione araba è un processo inarrestabile benché assai variegato nelle sue diverse componenti libertarie, economiche, religiose, tribali, generazionali, tecnologiche. Non sappiamo quale delle sue fasi stiamo vivendo, non sappiamo quanto durerà , non conosciamo i suoi sbocchi finali che potrebbero essere o non essere di nostro gradimento. Qualcosa, però, lo sappiamo. Che proprio quando noi occidentali avremmo bisogno di statisti, di visioni strategiche, di capacità di leadership, riusciamo ad esprimere soltanto la nostra inadeguatezza. L’Europa è semplicemente se stessa, quella che è diventata da qualche anno a dispetto di tutte le retoriche. Non è soltanto il punto di riferimento Usa a mancarle, perché gli europei si divisero sull’Iraq anche quando la leadership americana era forte. Più semplicemente — e la Libia è una conferma — a dettar legge nell’Unione sono i fronti interni elettorali dei principali soci, sono ora le urgenze di Sarkozy ora il nuovo nazionalismo mercantilista tedesco. Si può trovare un compromesso se si è in pericolo di morte, come sull’euro, ma sulla politica estera comune o su una politica europea per i migranti è meglio non farsi illusioni. E poi c’era una volta l’America. Oggi Barack Obama viene accusato da molti di essere diventato mister tentenna, dall’Afghanistan alla Libia. Ma per capirlo è utile ricordare una frase del capo di stato maggiore della Difesa Mullen: la principale minaccia alla sicurezza dell’America è il suo deficit. A Washington sperano in una crescita appena sotto il tre per cento. Chi se ne intende aggiunge che tutto dipenderà dalla Rivoluzione araba e dal prezzo del petrolio, che a sua volta dipende dall’Arabia Saudita. Si capisce che esistano due pesi e due misure, nella politica di un presidente che vuole la rielezione. Siamo davanti a una grande Storia, al processo rivoluzionario del mondo arabo, e non sappiamo bene cosa fare oppure siamo ostaggi delle nostre convenienze democratiche nazionali. Anche questo è un processo, involutivo. Si affaccia forse un mondo post-occidentale, mentre qualcuno sta alla finestra e se la ride. La Russia, con il suo gas e il suo petrolio. E soprattutto la Cina, la potenza in emersione che può raddoppiare la sua velocità grazie al declino altrui.
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