Un anno fa il disastro che investì quattro stati americani
Povero Gavin. Fa un esame e saltano fuori queste tossine. Quattrocento dollari per un test. E io che di nipotini ne ho otto…». Il prestigiosissimo New England Journal Of Medicine ha sentenziato che ci vorranno anni per capire i veri effetti. I giornali hanno tagliato corto e cercando un titolo hanno scoperto tra le righe che gli effetti psicologici sono finora i più gravi: forse perché poca gente ha i soldi per testare gli altri? Un’associazione non profit che si chiama Louisiana Bucket Brigade ha tentato una ricerca con la Tulane University di New Orleans. Tre quarti dei mille intervistati (il 72 per cento) presentano sintomi anomali: tosse (27 per cento), irritazione agli occhi (27 per cento), mal di testa (22 per cento), respirazione (27 per cento). Piccolo particolare: quasi la metà (46 per cento) non ha assicurazione sanitaria. Chuck Barnes ha stravolto la sua vita di serenissimo broker e spericolatissimo surfista quel giorno di settembre in cui tornando a casa sua moglie Nicole gli disse piano: «Non mi sento mica tanto bene». Adesso è una specie di barricadero nella sua Pensacola e ieri – domenica – era in prima fila nell’ultimo happening organizzato dai Surfriders: i ragazzi che con i raggi Uva hanno smascherato l’ennesima truffa della Bp. Di che si tratta? Le squadre del colosso del petrolio ancora oggi ogni giorno ti ripuliscono una fetta di spiaggia, praticamente te la ribaltano con quei dannati caterpillar. E il giorno dopo ti sembra splendida splendente: quasi fosse davvero l’Emerald Coast delle cartoline. E invece Mike Sturdivant e i suoi boys hanno scoperto il trucco scavando e proiettando sulla sabbia i lampadoni di raggi Uva. Così la spiaggia che i bambini calpestavano felici qualche ora prima ha tradito quei luccicanti serpentoni che rivelano il nemico oleoso insediatosi fin lì. «Lo vedi? È petrolio!» annuncia Heather Reed tirando fuori i campioni raccolti nei barattoli persi nella sua 4×4 tra gli avanzi di “gamberetti & tacos” del Cactus Flower Cafè. Peccatucci di gola da spia carbonara. Heather lavora per il comune di Gulf Breeze ma dove finisce il suo lavoro pubblico comincia quello privatissimo: di consulente dei Surfriders. È stata lei a individuare le macchie che ancora oggi si stanno mangiando Pensacola. Però dicono che lì sia meglio non ripulire: è zona archeologica e dove tocchi fai danni. «E la gente che lì va a fare il bagno?». Insomma, un anno dopo, o credete a loro: alla Bp che spalleggiata dal governo della Louisiana preme per la ripresa dalle trivellazioni (ed è pur vero che migliaia di poveracci sono rimasti senza lavoro), alla Casa Bianca di Barack Obama che perfino l’amico New York Times rimprovera «di non avere illustrato lo scenario peggiore, tenendo all’oscuro della dimensione del disastro». Oppure credete alla gente del Golfo: a quelli che oggi avrebbero voluto raccontarti un’altra storia e invece sono ancora qui a lottare. Ma allora perché per un anno hanno taciuto? Il fatto è che tanti continuano a tacere. E la ribellione è solo di una minoranza. Valerie, che di nazionalità è tedesca, e a Pensacola è arrivata dopo aver girato mezzo mondo, la butta sul sociale: però un po’ di ragione ce l’ha. «Qui protestano per il diritto di portare la pistola. Ma quando si tratta della salute…». Valerie non si lamenta: l’anno scorso fu un disastro ma quest’anno i turisti sono tornati («Non scriverete che il mare è ancora sporco, eh??»). I palazzoni da spiaggia che si chiamano Hilton, Holiday Inn, Margaritasville sono pieni da scoppiare e il suo Geronimo’s Post è impossibile da evitare nello struscio dopo-bagno. Però per i danni subiti l’anno scorso è ancora in attesa: «Carte, carte, carte. E chi non può permetterselo?». Prendete Frank Fontenot. L’anno scorso raccontava ai giornali la gioia di aver stretto le mani a Ken Feinberg. Cioè al superavvocato che aveva ridistribuito ai parenti delle vittime gli indennizzi per Ground Zero e che proprio per questo Obama aveva incaricato di sciogliere il guazzabuglio del Golfo. Ma oggi Frank si chiede a che gioco stia giocando il Gran Liquidatore. Presa la prima parte degli indennizzi adesso anche lui aspetta e spera. Fino a quando? Frank sa benissimo che la Casa Bianca ha ottenuto dalla Bp un fondo da 20 miliardi per pagare i danni. Ma il fatto è che perfino Feinberg ha ammesso di trovarsi in un pasticcio enorme. Sarà cinicamente tragico ma alla fine i danni di Ground Zero erano più facili da calcolare. Chi stabilisce i mancati guadagni della popolazione di almeno quattro Stati (Louisiana, Mississippi, Alabama e Florida)? Intanto a febbraio Frank e Barbara Fontenot hanno deciso di chiudere il ristorante Benigno’s laggiù a Bay St. Louis. «La gente entrava e mi chiedeva: è buono il pesce oggi? E come fai a rispondere di sì quando alle 4 del mattino vedi questi col caterpillar che ti rivoltano tutto?». Frank porta il cognome del padre adottivo ma la faccia tradisce altri natali: «Mio nonno arrivò da Cefalù: il mare ce l’abbiamo nel sangue». Se è per questo Hong Tran è arrivato da molto più lontano. Questo angolo d’America sembra davvero una provincia del Vietnam ma Hong d’inglese dice una sola parola: shrimps, gamberetti. «Ecco», spiega sul molo di Pass Christian mentre Thao Vang cerca di tradurre quello che stanno dicendo lui e la moglie e il suo socio: tutti insieme. «Fino allo scorso anno perfino qui ne vedevi spuntare a migliaia. Oggi invece…». I vietnamiti trapiantati quaggiù sono quasi 7mila. E la settimana prossima saranno loro il plotone più nutrito di pescatori che scenderà per strada a Biloxi per dimostrare la propria rabbia. L’anno scorso la stagione – che va da maggio a novembre – fu cancellata dalla marea nera. Ma quest’anno il suo socio Taen To s’è spinto fino nel cuore del Golfo ed è tornato con la notizia ferale: laggiù non c’è più niente. La pesca è finita. Possibile? Moby Solangi lo sa bene e sorride sotto i baffi da indiano immigrato quarant’anni fa. «E pensare che la mia tesi di laurea l’ho data sugli effetti del petrolio sulla fauna marina». Preveggenza? «Ma no: l’amministrazione stava lanciando la colonizzazione petrolifera del Golfo e con quella tesi mi sono pagato gli studi». L’esperto ora dirige l’Institute of Marine Mammals qui a Gulfport. Che è una fondazione indipendente, però riferisce sempre allo stato. Così succede che Solangi veda cose che noi umani non potremmo immaginare: poi passa le carte a Washington e addio. Per carità : lui e i suoi volontari fanno tantissimo. Per esempio Buster e Bo sono due dei delfini salvati l’anno scorso. Come le tartarughe Cramps Ridley «che vengono dal Messico per svernare qui da piccoline e tante non sono ritornate più». Gli uomini di Solangi sono quelli che soccorrevano i pellicani incatramati e che quest’anno si ritrovano con un’emergenza ancora più inquietante. «Solo nel mese di marzo abbiamo ritrovato nella costa davanti a Gulfoport una novantina di delfini morti. Ad aprile è toccato alle tartarughe: un’altra novantina». Il mistero dei delfini morti è il più inquietante: perché sono babydelfini. «Funziona così. La gestazione dura un anno. I delfini vengono a partorire qui nel Mississippi in primavera perché le acque sono più calde e al largo ci sono gli squali. I baby di oggi sono dunque quelli concepiti un anno fa: durante la marea nera». Eccoli qui i figli malati del petrolio. «E adesso a chi toccherà ?».
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