Tremonti avverte gli alleati “Nessuno si faccia illusioni il rigore non ha alternative”

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 «Mi creda, è stata un’iniziativa estemporanea, che non aveva nulla di strutturale ma molto di personale. Non l’ho mai letta come una “manovra” contro di me, autorizzata o addirittura ispirata dal presidente del Consiglio». Tremonti giura di aver chiarito tutto con Berlusconi, nel lungo faccia a faccia di venerdì scorso. Si considera «soddisfatto» delle garanzie ottenute dal premier, e della dichiarazione ufficiale di «sostegno politico» che ha ricevuto da lui. «Soddisfatto» anche dello scudo protettivo che su di lui continua ad erigere la Lega dell’amico Bossi. «D’altra parte – aggiunge – mai come in questa occasione c’è stato l’appoggio degli altri ministri: per la prima volta, forse, si sono mobilitati per me…». C’è appena un filo di ironia, nelle parole del titolare del dicastero di Via XX Settembre, che tuttavia non si sente “in pericolo”, come successe nel 2004, quando fu costretto alla resa dall’assedio di Fini e Follini, e dovette cedere la sua poltrona a Domenico Siniscalco. Stavolta non vede colleghi-congiurati pronti a colpirlo alle spalle, come successe due autunni fa con Brunetta e Scajola, che muovevano minacciosi contro di lui come la foresta di Birnan circonda Macbeth sulla collina di Dunsinane. E meno che mai vede “cospirazioni” anti-berlusconiane che lo riguardino o lo coinvolgono: ha sempre detto che «Berlusconi è il Pdl», e che «senza l’uno non c’è l’altro», e ripete ormai da cinque anni che «Silvio è insostituibile, e dunque il problema, quando si porrà , non è “chi”, ma “cosa” lo sostituirà …». Dunque il governo va avanti, sia pure «in un quadro difficile e indecifrabile», in cui ci sono continue fibrillazioni politiche e tensioni istituzionali. Ma proprio per questo il ministro del Tesoro si concentra sul suo “core business”: l’economia. Sta limando il Decreto Sviluppo, che vedrà  la luce entro la prima decade del mese prossimo e sarà  illustrato informalmente alla riunione dell’Ecofin e dell’Eurogruppo il 16-17 maggio. Tremonti attribuisce una certa importanza al provvedimento, sia per ragioni legate al «coordinamento europeo degli interventi di politica economica», sia per ragioni di politica interna. Non sarà  una «svolta epocale», come troppo spesso ripetono ministri poveri di idee ma ricchi di retorica. Ma conterrà  misure simboliche «tutt’altro che irrilevanti», che anticipano in parte il “Programma Nazionale di Riforma” sul quale dovrà  pronunciarsi la Commissione Ue nell’ambito del nuovo “Semestre Europeo”. Cioè quello che Tremonti, rimandando alla lettura della sua “Premessa” al Documento di Economia e Finanza deliberato dal Consiglio dei ministri il 13 aprile 2011, definisce «il luogo comune per cominciare a organizzare, all’interno di un unico processo politico, indirizzi ed impegni condivisi e coordinati» tra gli Stati membri. Un passo decisivo, dopo quel “Patto per l’Euro” ratificato il 25 marzo dal Consiglio d’Europa dei capi di Stato e di governo, «che rappresenta un traguardo destinato a modificare radicalmente la struttura costituzionale europea». Con il Decreto Sviluppo – anticipa il ministro – «cominciamo a ridurre l’oppressione fiscale sulle imprese». Si tratta soprattutto di misure di semplificazione, che riguardano gli adempimenti connessi agli studi di settore e, per le famiglie, l’eliminazione dell’obbligo di inoltrare ogni anno al fisco il quadro aggiornato dei familiari a carico, per poter beneficiare delle relative detrazioni. Poi ci saranno sgravi parziali per la ristrutturazione edilizia degli immobili, misure di agevolazione per la rinegoziazione dei mutui casa con le banche, un avvio di quella fiscalità  di vantaggio per il Mezzogiorno (sulla quale pende tuttavia il giudizio della Commissione), e l’ennesimo rilancio del Piano Casa, con una formula – sostiene Tremonti – «che ci consentirà  di superare le asimmetrie tra Stato e regioni: se queste non si adeguano, vale lo schema nazionale». Infine, ci sarà  il sostegno alla ricerca: «Lavoriamo a un credito d’imposta del 90% per le imprese che commissionano ricerche o finanziano investimenti nelle università  e negli istituti di ricerca: e questo bonus è davvero una grande innovazione, per un Paese come l’Italia». Tutto questo non basterà  certo a imprimere quella “scossa all’economia” troppe volte promessa e mai attuata. Non basterà  a tacitare i rilievi della Banca d’Italia sulla crescita insufficiente, né ad esaudire le richieste di “svolta” che arrivano dalla Cgil di Susanna Camusso, né a far sentire meno “sola” la Confindustria di Emma Marcegaglia. Soprattutto sul fronte fiscale, “l’oppressione” continuerà  a restare tale, finchè non si passa dalla limitazione degli adempimenti alla riduzione delle aliquote. E finchè questo non accade, anche nella maggioranza i maldipancia resteranno. Ed anzi aumenteranno, in vista delle elezioni amministrative che lo stesso Berlusconi ha già  definito “un test nazionale”, con il pensiero rivolto soprattutto alla sfida di Milano. Tremonti lo sa, ma avverte: «Noi sui conti pubblici non possiamo abbassare la guardia: abbiamo un sentiero di rientro, che ci deve portare al pareggio di bilancio nel 2014 e alla riduzione del debito pubblico. Da quello non si può uscire. Non esiste la fase due, senza la fase uno…». E di nuovo, anticipando i possibili assalti alla diligenza che ripartiranno nei prossimi giorni grazie al partito trasversale della spesa annidato nel governo e nella maggioranza, il ministro rinvia alla lettura della sua “premessa” al Def: «Lì c’è scritto tutto: basta leggere». Basta leggere, per capire che «stabilità  e solidità  della finanza pubblica sono essenziali, tanto nel presente quanto nel tempo a venire», e che «non sono possibili sviluppo economico ed equilibrio democratico senza stabilità  e solidità  della finanza pubblica». «Non ci sono più spazi per ambiguità  e per incertezze – ricorda Tremonti – la politica di rigore fiscale non è temporanea, non è conseguenza imposta da una congiuntura economica negativa, e non è nemmeno “imposta dall’Europa”, ma è invece “la” politica necessaria e senza alternative per gli anni a venire». Dunque, è il messaggio finale, governo, Parlamento e parti sociali «devono evitare illusioni, supponendo una presunta alternativa tra rigore e crescita: la crescita non si fa più con i deficit pubblici». Quindi, i cordoni della borsa restano serrati. Entro il 2014 l’impegno irrinunciabile resta quello di raggiungere un sostanziale pareggio di bilancio, abbattendo il rapporto deficit/Pil dal 3,9% del 2011 allo 0,2% e perseguendo, nello stesso tempo, il «sistematico incremento del surplus primario» e la «progressiva riduzione del debito pubblico». Non solo: sul piano ordinamentale Tremonti conferma la volontà  di «introdurre nella Costituzione il vincolo della disciplina di bilancio», per renderlo più precisamente e direttamente codificato «in conformità  con le nuove regole di bilancio europee». Per questo, come prevede il Def, «sarà  presentato e discusso in Parlamento un appropriato testo di riforma costituzionale». Ribadita la linea del Piave del rigore, resta il nodo dello sviluppo. E qui il piatto piange. Tremonti rimanda al “Programma Nazionale di Riforma”, che scommette su quelli che il ministro chiama «motori di sviluppo esterni all’area della spesa pubblica in deficit». Opere pubbliche, edilizia privata, istruzione e merito, Mezzogiorno e turismo il “contenitore” deborda, il contenuto latita. Soprattutto, al primo punto dell’agenda, resta la riforma fiscale, che per il ministro dell’Economia significa riduzione dello sterminato numero dei regimi fiscali di favore, spostamento dell’asse del prelievo dalle imposte dirette a quelle indirette, riduzione delle aliquote attraverso l’abbattimento della spesa pubblica e il recupero dell’evasione fiscale. Promesse fatte tante volte, a parole. Ma mai onorate, nei fatti. E anche questa volta non c’è troppo da illudersi. Tremonti è il primo a sapere che, al momento, non ci sono le condizioni economiche e politiche per ridurre le tasse. Lo ha detto più volte a Berlusconi. Glielo ha ripetuto anche nell’incontro di venerdì scorso a Palazzo Grazioli. «Una seria riforma, che riduca sensibilmente la pressione fiscale, non si fa in un mese, alla vigilia di un voto amministrativo: serve più tempo, e serve un respiro più lungo…». Ma proprio questo è il tema: quanto tempo ha Berlusconi? Quanto respiro ha il suo governo? Ha spacciato miracoli. Ormai “commercia” solo in miraggi.


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