Tendopoli al Nord, Regioni divise ma il governo strappa un accordo
ROMA – Neppure una strage del mare riesce ad avere ragione del cinismo di chi coltiva e alimenta la differenza delle “due Italie”. L’ennesimo trucco, la rinnovata ipocrisia che divide il Paese tra la solidarietà e la compassione delle sole parole (quella dei governatori di centro-destra del Nord) e la solidarietà dei fatti, dei centri di accoglienza e delle tendopoli alzate ovunque nel Centro e nel Mezzogiorno, tornano infatti a manifestarsi alle otto di sera. Quando Enrico Rossi, governatore della Toscana, lascia Palazzo Chigi e la quarta “cabina di regia” Stato-Regioni convocata per «l’emergenza profughi». Rossi smaschera l’uno (il trucco) e l’altra (l’ipocrisia) con la lucidità di chi ha dato sin qui una lezione di umanità , solidarietà ed efficienza al Paese con il suo modello di accoglienza diffuso. Dice: «Voglio che da oggi sia chiara una cosa. Che la Toscana non accoglierà altri profughi fino a quando non vedrà che anche le altre Regioni italiane si fanno carico di allestire strutture di accoglienza. Un giro di giostra tocca a tutti. Non è possibile che in questo Paese esistano già due Repubbliche. È evidente che la Lega è nell’angolo. Ma del resto raccoglie oggi quel che ha seminato in questi anni con la sua cultura della paura». Le parole di Rossi fotografano uno stato d’animo comune al governatore della Puglia (Vendola), dell’Emilia (Errani), della Sicilia (Lombardo), della Basilicata (De Filippo), del sindaco di Torino (Chiamparino). E, formalmente, trovano la «comprensione» di Palazzo Chigi e del Viminale che siglano un nuovo accordo con le 20 Regioni, in cui si ribadisce «l’impegno alla condivisione dell’emergenza profughi sull’intero territorio nazionale», per un piano complessivo di accoglienza di 50 mila migranti. Ma è appunto nell’uso del termine “profughi” e nel dettaglio del percorso che il Governo e il Viminale immaginano di qui ai prossimi giorni che si nasconde l’ennesimo rinvio della solidarietà delle Regioni del Nord leghista. Per quanto ne riferiscono fonti qualificate presenti alla riunione della “cabina di regia”, il quadro che il ministro dell’Interno Roberto Maroni sottopone a governatori e sindaci suona infatti così. Primo: l’accordo con Tunisi consentirà di respingere alle nostre frontiere i profughi che vi sbarcheranno da venerdì in avanti, considerandoli tutti e senza distinzione “clandestini”. Secondo: gli oltre 22 mila tunisini già sbarcati godranno di un permesso di soggiorno temporaneo che gli consentirà di raggiungere altri Paesi dell’area Schengen. Dunque – ragiona il ministro e con lui Berlusconi – le tendopoli si svuoteranno non appena arriveranno i permessi di soggiorno e il problema si porrà , di lì in avanti, «solo per i profughi che arriveranno dalla Libia». Al momento – dice Maroni – sono 2.600. Un numero esiguo, e dunque fronteggiabile. Anche perché – aggiunge – se è vero che «tutto fa pensare che il loro numero possa crescere nelle prossime settimane», è altrettanto vero che «la capienza degli attuali centri di accoglienza è in grado di ospitarne, al momento, fino a 7 mila». Insomma, il problema di trovare nuovi centri al nord per i futuri profughi si porrà solo se quella soglia di 7 mila dovesse essere superata. Ma – scommette Maroni e con lui la Lega – sarà un problema rinviabile. Anche perché, per quel giorno, i profughi tunisini, con il permesso di soggiorno in tasca, avranno ragionevolmente abbandonato le tendopoli e i centri di accoglienza del Centro e del Sud che oggi abitano. E che potranno così aprirsi ai «libici», i nuovi ospiti.
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