Strage in un bar di Marrakech attacco ai turisti, 15 vittime

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Il barista del bancone osserva di sfuggita l’uomo che gli sta di fronte. È arabo, forse marocchino. Non lo conosce. È uno dei tanti avventori che si affacciano all’Argana, uno dei caffè più famosi di Jamaa el Fna, la piazza centrale di Marrakech, principale attrattiva turistica della cittadina del sud-ovest del Marocco e considerata patrimonio mondiale dell’Unesco. Due piani affacciati su una distesa di bancarelle, tavoli, sedie, tende e tettoie dove al tramonto, con il sole che piega verso ovest, si può assistere ad uno degli spettacoli più eclettici al mondo. Centinaia di pastori, beduini, saltimbanchi, indovini e mercanti arrivano da ogni angolo della città  e danno vita ad un immensa giostra. Trovi di tutto: dagli spiedini di montone, ai serpenti che escono dalle giare attirati dal suono magico del piffero, ai cartomanti che ti leggono il futuro, ai musicisti che irradiano l’atmosfera con i ritmi dei tamburi, ai domatori che attirano turisti e locali con le loro scimmie che volteggiano in aria e saltano dentro cerchi infuocati per pochi dinari. Molti fumano hashish, altri passeggiano in mezzo alle bancarelle e frugano tra stoffe, cappelli, monili e braccialetti. Altri cercano riparo dal caldo soffocante sotto le pergole dei bar e di ristoranti. Sono le 11 e 50, le 12 e 50 in Italia. Il sole è già  alto e picchia duro. Una sosta all’Argana è quasi un obbligo. È un caffè famoso, decantato da libri e film, segnalato da tutte le guide turistiche. È il luogo ideale per godersi i colori forti del tramonto e sorseggiare del tè caldo alla menta. Il locale è già  pieno di gente che mangia un boccone. Ci sono marocchini e stranieri. L’uomo beve il suo succo d’arancia. Si guarda attorno, entra in cucina. Ha già  deciso quello che deve fare: aziona il detonatore della sua cintura esplosiva, si fa saltare in aria. L’urto è devastante, spazza l’intero secondo piano del locale, saltano in aria anche le bombole del gas. Una nuvola nera e biancastra si alza in cielo e copre parte della piazza Jemaa el Fna, la “moschea svanita”. Il nome è eloquente, in questo caso. Significa, anche, “Raduno dei morti”. Qui si decapitavano i condannati e si lasciavano in mostra le teste come esempio per gli altri. L’attentato acquista un valore altamente simbolico. L’Argana è avvolto dalle fiamme; la gente grida, urla, si lamenta. Per terra, tra i detriti di legno, pietre e cemento, giacciono 15 morti. Dieci sono stranieri: 6 francesi e poi inglesi, svizzeri, olandesi. Gli altri cinque sono marocchini. Si contano venti feriti. Non risultano italiani. Si pensa subito ad un attentato. Ma le notizie restano confuse per una buona mezz’ora. L’esplosione delle bombole di gas spinge gli investigatori a parlare di un incidente. Il Marocco è un paese stabile, non è stato coinvolto dalla grande rivoluzione che scuote tutto il Maghreb e l’intero Medio Oriente. Ma lo spettro del terrorismo agita il Palazzo e il governo. I primi rilievi dimostrano che è accaduto qualcosa di diverso. Al Qaeda nel Maghreb (Aqim) è particolarmente attiva nella regione. Agisce tra Mali e Mauritania, gestisce il traffico di armi e di cocaina, rapisce cittadini occidentali, ha ancora nelle sue mani quattro francesi della società  di estrazione dell’uranio Areva. Per la loro liberazione è stato chiesto un riscatto di 90 milioni di euro. Un’ora dopo il governo parla di «attentato criminale», di «azione terroristica». I corpi delle vittime sono bersagliati da chiodi e pezzi di ferro, tipici delle bombe usate dagli attentatori suicidi. Un uomo viene fermato. Si avanzano mille ipotesi, ma tutti parlano apertamente di terrorismo. Qualcuno pensa ai 148 prigionieri politici rilasciati il 14 aprile scorso. Sul Marocco piomba l’incubo degli attentati. Non accadeva dal maggio del 2003: 45 persone furono falciate da una serie di esplosioni.


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«I croati devono sbarazzarsi di questo vampiro…», «È un bastardo italo-serbo…», «Le operazioni Fulmine e Tempesta non si realizzarono da sole nel ’95. Ci vorrà  ancora una epurazione uragano, per eliminare tutti i nemici della Croazia». Con queste parole, a fine 2012 e nelle prime settimane del 2013 si è intensificata la campagna di Hrvatski List, il giornale dell’estrema destra croata contro lo scrittore Giacomo Scotti, da sempre collaboratore del manifesto

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