Storia d’integrazione nella Milano delle baby-gang
Alice è figlia della borghesia intellettuale del centro e della bella casa in cui vive: con una madre troppo egocentricamente nevrotica per occuparsi di lei. Anche Jaime vive con la madre, ma in un palazzone di periferia: dove l’ha raggiunta dal Perù dopo i consueti anni di odissea in nero che l’hanno fatta approdare a un permesso di soggiorno. Farli innamorare e stare a vedere come va— per rendere «visibile» una Milano la cui multietnicità è nei fatti da anni, ma finora meno raccontata che vissuta — è lo spunto narrativo da cui parte Zita Dazzi con Il volo di Alice (Rizzoli, pp. 233, e 11,50): storia sociale d’amore e integrazione ispirata a una vicenda vera— ancor più drammatica nella realtà di quanto il romanzo non dica — tra le tante che l’autrice raccoglie da anni quale cronista di «la Repubblica» . La sfida letteraria, in questo caso, sta nella forma scelta per raccontarla. Forse oggi la più variegata e difficile che c’è, tanto che meriterebbe un’analisi sul senso della sua stessa definizione: il romanzo per ragazzi. O pedagogico. O di formazione. Che non sono la stessa cosa, ma a volte si mischiano. All’interno di una categoria che comprende dal Giovane Holden a Moccia, dalla Via Pà¡l a Harry Potter, dal Barone rampante a Cuore, Il volo di Alice è un piccolo romanzo che funziona per tre buoni motivi. Il primo riguarda il contenuto sociale del racconto, attraverso il quale incontriamo il razzismo educato dei ragazzi perbene e quello brutale delle gang di quartiere; la violenza chiara sul piccolo accattone Mohammed, a cui lo zio spegne le cicche addosso, ma anche quella subdola delle molestie alle ragazzine da parte dell’intellettuale di famiglia; le feste a tutta canna e vodka-lemon, negli appartamenti vuoti del sabato sera, quando i grandi sono a Courmayeur e i figli fanno gli adulti; ma anche le cene a tutta Marlboro e brunello, stesse case stesse sbronze, quando i figli vanno a dormire e restano i grandi a fare i ragazzi. Il secondo motivo è linguistico. Il Volo è sostanzialmente il diario di Alice, e quindi è la non facile mimesi lessicale e sintattica di una adolescente che a scuola va addirittura un po’ meno bene di Jaime: il quale è una secchia, oltre che più sgamato. Ma noi conosciamo vita e pensiero di Jaime — della sua famiglia e del loro Paese — solo attraverso quel che via via ne viene a sapere Alice e soprattutto per l’interpretazione che ne dà lei. Ed è un’astuzia narrativa sottile quella di farci sospettare che, se quel che passa nella testa del ragazzo ce lo dicesse direttamente lui, ne verrebbe una profondità molto più complessa, contraddittoria, di quel che un diario adolescenziale non possa dire. Proprio in questo però sta la sorpresa finale del libro. Che poi è il terzo buon motivo per leggerlo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA La presentazione Il libro di Zita Dazzi sarà presentato oggi a Milano durante un incontro nell’Ex Chiesetta del Parco Trotter (ore 17). Partecipano Don Virginio Colmegna, Graziella Favaro e Arcangela Mastromarco
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