Senza freni

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Perché tutto è possibile. Diventa possibile persino che un singolo deputato della compagine berlusconiana decida di depositare una proposta di legge al fine di scardinare alla base la nostra Carta fondamentale. Per sovraordinare il Parlamento e quindi il potere legislativo a quasi tutti gli altri poteri dello Stato: a cominciare da quello giudiziario. I magistrati, il Csm, la Corte costituzionale, il presidente della Repubblica diventerebbero tutti soggetti alle dipendenze delle Camere. O meglio alle dipendenze della maggioranza eletta. Il bilanciamento su cui è costruito il nostro sistema costituzionale salterebbe in un colpo solo. E rischierebbe di trasformarsi in quella che Tocqueville definiva tirannide della maggioranza. Farebbe declinare in modo irreversibile il principio della separazione dei poteri che accomuna tutti i sistemi democratici dalla Rivoluzione francese in poi. Certo, il disegno formulato da questo singolo parlamentare del Pdl non è stato avallato dai vertici del suo partito, né dalla presidenza del consiglio. Ma cresce nell’humus che si è formato negli ultimi mesi. Le parole e gli interventi del premier in qualche modo legittimano le iniziative più improvvide. Tutti si sentono titolati a trasformare in atti le sparate da comizio elettorale del capo del governo. Nel Pdl tanti si sono convinti di potersi poi giustificare con un semplice “lo dice anche lui”. Del resto, anche i manifesti di Milano che equiparavano i pm alle brigate rosse non possono essere derubricati ad avventata campagna denigratoria di un ignoto politico locale. Rappresentano la pedissequa riproduzione dei giudizi espressi da Berlusconi. E nessuno può negare che dopo il recente richiamo del presidente Napolitano al rispetto della magistratura, l’unica voce muta è stata quella del Cavaliere. Un segnale che nel partito di maggioranza relativa tutti hanno recepito come un’autorizzazione preventiva a mettere nel mirino il Quirinale. A limitarne l’azione e l’autonomia. A minacciarne le prerogative. Come ha fatto l’onorevole Ceroni. Non è un caso poi che proprio mentre questo sconosciuto deputato illustrava a Montecitorio la sua bozza di riforma costituzionale, a Palazzo Chigi mettevano a punto un altro stratagemma per difendere il premier dai suoi processi. La presidenza del consiglio ha deciso di sollevare il conflitto di attribuzione davanti alla Consulta contro i magistrati milanesi impegnati nel processo Mediaset accusandoli di non aver rispettato il legittimo impedimento. Una mossa che in realtà  punta a bloccare anche questo procedimento attraverso una “leggina” da approvare in tempi strettissimi. Che renda obbligatoria la sospensione dei processi in presenza di un conflitto di attribuzione. Senza aspettare la sentenza dei giudici costituzionali. Che, anche loro, figurano nella lista nera di Palazzo Chigi. Nel giro di poche settimane, dunque, il centrodestra potrebbe conquistare la prescrizione breve per far saltare la causa Mills. Contestualmente far passare un emendamento che blocca il processo Ruby e, appunto, quello Mediaset. L’ennesimo escamotage per bloccare le inchieste che lo riguardano, dunque, ma anche l’ennesimo tentativo di compromettere i contropoteri che contraddistinguono ogni democrazia. Perché anche la leggina “blocca processi” è potenzialmente in grado di ridurre o arginare i poteri della Corte costituzionale e della Magistratura. Attraverso l’idea che governare equivalga a imporre il volere della maggioranza ad ogni costo. Nella continua «guerra» contro i pm, quindi, ogni leva viene attivata. E ogni equilibrio viene saggiato. Come se ci fosse il perenne bisogno di verificare la tenuta del sistema, di ricercarne i punti deboli su cui insistere o la crepa da divaricare definitivamente. Sebbene, allora, il conflitto tra poteri sollevato sulla vicenda Mediaset corra apparentemente su un binario affatto diverso rispetto alla proposta di modificare l’articolo 1 della Costituzione, in realtà  si muove nello stesso contesto. Ceroni probabilmente, dopo qualche giorno di gloria, tornerà  nel limbo dell’anonimato e – prendendo in prestito un’opera di Chagall – diventerà  “Colui che parla senza dire nulla”. Ma gli scatti che Berlusconi proverà  da qui alla fine della legislatura non terranno contro del pericolo di incrinare il sistema costituzionale di questo Paese.


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