Se nel giorno di festa il precario va in piazza

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Le indagini sulle forze lavoro dell’Istat certificano che le assunzioni con contratti a tempo indeterminato tra chi ha meno di 40 anni sono calate del 27 per cento rispetto al 2007, l’ultimo anno interamente prima della Grande Recessione. Nel Mezzogiorno i contratti a tempo determinato aumentano del 30 per cento e le prestazioni d’opera occasionali addirittura del 350 per cento, mentre le assunzioni con contratti a tempo indeterminato si riducono di un terzo. Il Ministero del Lavoro dispone di dati molto più dettagliati sulle assunzioni, attraverso le comunicazioni obbligatorie dei datori di lavoro, che permetterebbero un monitoraggio sistematico di come si entra nel mercato del lavoro. Ma non rende i dati disponibili. Per fortuna le Agenzie del Lavoro di cinque regioni e due province autonome del Centro-nord (Piemonte, Liguria, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Marche, Trento e Bolzano) hanno deciso di pubblicare i dati che raccolgono e che poi trasmettono al Ministero. Sono raccolti in una pubblicazione (I mercati regionali del lavoro. Il biennio di crisi), che può essere scaricata dai siti delle varie agenzie. I numeri sono allarmanti. Ormai solo il 15 per cento delle assunzioni a tutte le età  avviene con contratti a tempo indeterminato, dieci punti percentuali in meno rispetto al 2008, già  in parte anno di crisi. Tra i contratti temporanei aumenta il lavoro a chiamata (in media 3 giorni al mese) e a somministrazione mentre l’apprendistato, che dovrebbe comunque avere un forte contenuto formativo, non decolla. Anche chi ha contratti formalmente di lavoro dipendente, come i contratti a tempo determinato, fatica a vederseli trasformati in impieghi senza data di scadenza. Si noti che si tratta dei mercati del lavoro più dinamici del nostro Paese. I lavoratori temporanei vengono raramente coinvolti in formazione sul posto di lavoro, l’unica cosa che potrebbe proteggerli davvero dal rischio di perdere l’impiego, perché più difficilmente sostituibili con chi sta fuori. E quando perdono il lavoro non accedono certo alla Cassa Integrazione. Per loro c’è solo la disoccupazione non assistita. Il rischio di perdere intere generazioni di lavoratori che, seppur più istruiti della media dei lavoratori italiani, entrano dalla porta secondaria del mercato del lavoro essendo destinate a frequenti episodi di disoccupazione, non coperti da assicurazioni sociali, è dunque molto elevato. Ed è clamoroso il silenzio della politica su questi temi. Il Ministro Sacconi, oltre a impedire la pubblicazione dei dati, non sembra intenzionato a fare nulla. Neanche più gli annunci gli sono rimasti. E anche l’opposizione, sin qui, non è andata oltre la denuncia. Bene oggi invece andare al di là  della protesta e fare proposte concrete. Contro il dualismo. Non può che essere combattuto oliando il passaggio da mercato del lavoro duale a mercato primario. Oggi questo canale è ostruito. Avviene così che in molti settori – come nel manifatturiero e nel commercio – si registrino cali occupazionali superiori al 5%, quasi interamente ai danni di lavoratori precari, mentre i lavoratori con contratti a tempo indeterminato vedono aumentare i loro salari fino al 3%. Ci deve essere qualcosa di fondamentalmente sbagliato in un mercato del lavoro che fa coesistere licenziamenti in massa con incrementi salariali per chi mantiene un posto di lavoro protetto. Le manifestazioni di oggi sono sostenute dalla Cgil. È un bene che il più grande sindacato italiano si mobiliti su questi temi. Ancora meglio se farà  seguire a questo impegno nel dare voce ai precari, proposte in grado di unificare il mercato del lavoro. Perché siano concrete devono essere a costo zero per le casse dello Stato. Soldi in giro ce ne sono pochi e non è con gli incentivi fiscali alla stabilizzazione dei contratti che si risolve il problema, come ampiamente testimoniato dall’esperienza di altri paesi duali, a partire dalla Spagna.


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