Riparte la pesca dei gamberi

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CHAUVIN (Louisiana) — L’inverno dell’attesa, del rancore verso la BP, delle paure e delle speranze, è finito. La gente di Chauvin festeggia il risveglio del mare in un piccolo parco abbellito da sculture di «folk art» lungo il canale. Fred Brunet, il parroco cattolico, benedice i pescherecci pronti a prendere il mare: inizia la stagione dei gamberi. «Chissà  come andrà » , mormora Kim Chauvin, una ragazzona con la faccia macchiata dal sole, quinta generazione di una famiglia venuta un secolo fa dalla Francia. Gente che ha dato il nome a questo villaggio in mezzo ai canali del delta del Mississippi. Pescatori da sempre, gli Chauvin hanno costruito la loro fortuna attorno al «Mariah Jade» , un trawler di 73 piedi con lo scafo d’acciaio. Pian piano la flotta è cresciuta: due pescherecci, poi quattro. Fino a quando non è esplosa la crisi: prima i prezzi dei carburanti alle stelle, poi il disastro dell’ «oil spill» : la piattaforma Deepwater Horizon della BP esplosa giusto un anno fa, il 20 aprile 2010. Undici morti e il greggio riversato in mare per tre mesi dalla tubatura spezzata nei fondali del Golfo del Messico. Cinque milioni di barili di petrolio: 800 milioni di litri, la più imponente «marea nera» della storia americana. Ora due barche dei Chauvin sono ferme e su una campeggia il cartello for sale. Ma non ci sono compratori. «Entriamo nella stagione senza illusioni, ma almeno torniamo in attività » dice Kim, mentre mi mostra le decorazioni preparate per il battesimo del mare: striscioni con un Cristo Redentore che promette riscossa, caricature di Tony Hayward, l’ex capo di BP, corredate dalle battute più infelici di questo manager che fu costretto a dimettersi, travolto dai fallimenti della compagnia e dalle sue gaffe. Poco più avanti Connie Foret e i suoi marinai stanno disponendo festoni di carta sugli alberi e sulle «ali» — le travi d’acciaio che sorreggono le grandi reti ai lati del peschereccio — della «Miss Connie Ann» , il trawler che ieri ha aperto la parata delle navi. «È una tradizione che si ripete dal 1920» , racconta il parroco di questo pezzo d’America, «cajun» e cattolico. «Ma ancora qualche anno fa benedicevo una processione di cento pescherecci. Oggi sono una ventina» . In giro c’è una strana calma. Canali sonnolenti, mare pulito, prati di un verde abbacinante. Più a nord, sulle coste di Alabama, Mississippi e Florida, spiagge bianche. Qui, nel delta del grande fiume, il delicatissimo ecosistema delle paludi che sembrava destinato a soffocare sotto la patina oleosa del petrolio, è rimasto miracolosamente intatto: l’acqua del Mississippi ha tenuto lontana la «marea nera» . Il pozzo Macondo ha riversato in mare dieci volte il greggio perso dalla Exxon Valdez, ma i danni sembrano molto meno gravi di quelli patiti 22 anni fa dall’Alaska. «È vero, il colpo d’occhio del mare non è cambiato. E i pesci che prendiamo sembrano sani» , dice Susan Gros, una campionessa di pesca sportiva molto nota lungo la costa. «Insomma, niente tumori o danni visibili. I test danno risultati rassicuranti. Verrebbe da dire che madre natura è resistente: più forte degli abusi dell’uomo. Ma la verità  è che non sappiamo cosa c’è là  sotto: cosa sta cambiando nell’ecosistema, nella genetica nel mare. Sappiamo che molti pesci riescono a digerire il petrolio, che l’acqua è piena di microrganismi che lo metabolizzano. Ma viene controllata solo la presenza di idrocarburi nei tessuti animali. Non sappiamo, invece, gran che degli effetti del Corexit: il solvente chimico usato a piene mani per aggredire la macchia oleosa. Che in superficie non si vede più, ma probabilmente non è stata tutta digerita dal mare. Una parte del fondale, sostengono gli scienziati, dovrebbe essere ricoperto da uno spesso strato catramoso» . A Venice il suo vecchio amico, il capitano Ron Price, continua a organizzare battute per i pochi appassionati che stanno tornando. L’anno scorso fu lui a guidarmi in giro per il delta. «Anche Ron ha pochi clienti — continua Susan — ma fin qui se l’è cavata affittando i suoi bungalow e le barche alle troupe televisive, alla Guardia Costiera e anche alla BP. Adesso, però, se ne sono andati tutti. Sono rimasti i pescatori e la natura: è il momento della verità » . La natura ha vinto davvero? Ha «digerito» il petrolio restituendo al mare una fauna ricca e sana come quella di prima? Ron Price ne dubita: «Non peschiamo da un anno: il mare dovrebbe essere strapieno di pesce. Invece quando porto fuori qualche cliente, il bottino è magro» . La BP a più riprese ha disperso in mare ben otto milioni di litri di solvente. Ma alla fine— che sia dipeso dal Corexit o dall’acqua del Golfo, più calda di quella dell’Alaska— la temuta «marea nera» non si è vista. Il Golfo del Messico non è diventato il mare morto, il lago di catrame che ci eravamo immaginati. In Alaska morirono 250 mila uccelli marini, 250 aquile, 300 foche, 22 orche. Nel Golfo del Messico l’anno scorso sono state rinvenute, in tutto, le carcasse di un centinaio di mammiferi marini. Nelle scorse settimane, però, è tornato l’allarme per il rinvenimento dei corpi di 130 delfini, molti appena nati, e di decine di tartarughe. «È giusto essere prudenti — riconosce Susan — ma qui il silenzio sta diventando contagioso. Scienziati, BP, perfino la Coast Guard: i capi dell’anno scorso non ci sono più, avvicendati da nuovi ufficiali» . Omertà ? Più che altro consapevolezza che nell’economia della Louisiana il petrolio conta molto più della pesca. Il primo a saperlo è proprio Obama: un anno fa prometteva «calci nel sedere» a manager e ingegneri della BP. Ma il presidente ha bisogno di rilanciare l’economia, anche della Louisiana, e di portare gli Usa verso l’indipendenza energetica. Bisogna estrarre di più sul suolo e nei mari americani. Così, dopo qualche mese di moratoria, nel Golfo dei 4.000 pozzi in attività  sono state autorizzate nuove trivellazioni. Alla fine arriverà  il via libera anche alla BP, benché le procedure di sicurezza lascino ancora a desiderare. Per i liberalizzatori è inutile cercare certezze assolute: i pesci digeriscono il petrolio. Quelli che non ce la fanno non andrebbero comunque mangiati per via del mercurio. E poi, ormai, col Mar del Giappone radioattivo, più che con le provette, al mercato bisognerebbe andare col contatore Geiger.


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