by Sergio Segio | 2 Aprile 2011 14:00
Martedì scorso, durante un’audizione al Senato americano, l’ammiraglio James Stavridis, comandante delle forze Usa in Europa a capo del quartier generale europeo delle forze Nato (Shape), ha dichiarato che ci sono ”tracce” di al-Qaeda tra gli insorti anti-Gheddafi, seppur ”non significative”.
Tracce che partono dal videomessaggio[1] del 13 marzo con cui il libico Abu Yahya al-Libi (foto), uno dei principali leader di al-Qaeda, esortava i suoi connazionali a proseguire e intensificare la lotta contro Gheddafi: “I libici hanno sopportato sofferenze di ogni tipo per oltre quarant’anni a opera di Gheddafi, che li ha usati per sperimentare le sue idee marce, le sue stravaganze e le sue politiche folli”.
Tracce che proseguono con le notizie pubblicate il 22 marzo dal Sole24Ore a proposito della presenza sul fronte di Ajdabiya di qaedisti libici reduci dall’Iraq e dall’Afghanistan. A iniziare da Abdul-Hakim al-Hasidi: catturato dalle forze Usa in Afghanistan nel 2002, oggi al comando dei ribelli di Derna, ha dichiarato che ”i membri di al-Qaeda sono patrioti e buoni musulmani’‘.
”Non c’è dubbio che la succursale libica di Al Qaeda, il Gruppo combattente islamico in Libia (Lifg), faccia parte delle forze che si oppongono a Gheddafi; quel che non sappiamo è che peso abbia”, ha dichiarato mercoledì alla stampa indiana Bruce Riedel[2], ex analista della Cia esperto di terrorismo, per anni consigliere militare della Casa Bianca, membro anziano del Consiglio per le relazione estere e della Brookings Institution.
Il Lifg è stato creato nel 1995 da mujahedin libici reduci della guerra contro i sovietici in Afghanistan, allo scopo di rovesciare il regime di Gheddafi, contro il quale, a Sirte nel marzo del 1996, organizzarono un fallito attentato con l’aiuto logistico e finanziario (100mila sterline) dell’intelligence britannica, l’Mi6[3]. In seguito il Colonnello chiese, primo al mondo, un ordine di cattura internazionale per Osama, ma Londra e Washington bloccarono la procedura.
A capo del gruppo qaedista libico (dal 2001 nella lista nera del terrorismo internazionale islamico) erano Anas al-Liby, che scappato dalla Libia ottenne asilo politico in Gran Bretagna (dove ha vissuto fino al 2000, poi se ne sono perse le tracce), e Mohammed Benhammedi, che da Liverpool fino al 2006 (poi anche lui è scomparso) ha finanziato le attività del Lifg con i proventi del narcotraffico gestito dal barone inglese della droga Curtis Warren.
L’altra sigla storica dell’opposizione al regime libico, tornata d’attualità in questi giorni, è il Fronte nazionale per la salvezza della Libia[4] (Nfsl), movimento laico creato negli anni ’80 da dissidenti esiliati negli Usa e apertamente sostenuto dalla Cia. Anche l’Lnsf aveva tentato di uccidere Gheddafi, nell’aprile del 1984, con una vera e propria azione militare contro il quartier generale del Colonnello a Bab al Aziziyah (morirono ottanta persone, tra libici, cubani e tedeschi dell’est).
L’esponente più noto dell’ Nfsl è Khalifa Belqasim Haftar[5] (foto), ex colonnello dell’esercito libico rifugiatosi negli Usa nel 1988 dopo la sconfitta della Libia nella guerra con il Ciad. Da allora ha vissuto a Fairfax, Virginia (10 chilometri dal quartier generale della Cia), da dove ha diretto per anni le attività del braccio armato dell’Nfsl: l’Esercito di liberazione libico. Poche settimane fa è riapparso a Bengasi per prendere il comando militare dei ribelli, ruolo che ricopre formalmente dal 24 marzo.
A ben guardare, la coesistenza di uomini di al-Qaeda e dei servizi segreti anglo-americani nelle fila dei ribelli libici è una contraddizione solo apparente. Afghanistan docet.
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