by Editore | 11 Aprile 2011 6:27
BENGASI – La notte ha portato consiglio, sembra. Gheddafi avrebbe accettato la “Road Map” proposta da una delegazione dell’Unione Africana per porre fine al conflitto. Lo ha detto, a mezzanotte circa, Jacob Zuma, presidente sudafricano, annunciando anche che sarebbe andato a Bengasi per parlare con i ribelli. «Ha accettato le nostre condizioni, il fratello leader» ha detto Zuma. «Dobbiamo dare al cessate il fuoco una chance». Non erano in molti, alla vigilia, a credere in questa mediazione. Non il governo provvisorio, ed il motivo è facilmente spiegabile. L’Unione Africana è una creatura di Gheddafi e alcuni di questi paesi (o almeno i loro leader) dal raìs libico hanno avuto grossi aiuti in denaro. L’Uganda è il paese che ha pubblicamente offerto asilo a Gheddafi, dal Mali e dalla Mauritania arrivano molti dei mercenari al soldo dei libici, miliziani che hanno partecipato attivamente alla feroce repressione e alle esecuzioni sommarie di civili innocenti. Con Zuma c’erano i leader di Mali, Mauritania, Congo e Uganda. Colpo di scena o bluff? Nella capitale i ribelli si fidano solo di americani, francesi e adesso anche degli italiani. Ieri davanti al nostro consolato (chiuso dal 2006) un centinaio di persone con bandiere tricolori hanno voluto ringraziare il nostro paese (presente il rappresentante della Farnesina Guido De Sanctis) per l’appoggio di questi ultimi giorni. Intanto la battaglia di Ajdabiya si è conclusa. Dopo due giorni di cruenti combattimenti, grazie al decisivo intervento dei caccia della Nato, l’offensiva scatenata dai lealisti del raìs contro la città -fantasma è stata respinta e le forze ribelli hanno potuto riprendere il controllo della strada che porta fino a Brega. Dopo l’attacco di sabato alla porta occidentale, che aveva portato le truppe del dittatore libico ai limiti di Ajdabiya (ultima città sul fronte occidentale prima di Bengasi), ieri mattina la situazione si era fatta drammatica. Grazie alla superiorità dei missili Grad i lealisti erano riusciti ad aprire la strada alle camionette mobili e ai carri armati, attaccando da sud mentre tra i palazzi abbandonati del centro comparivano in loro appoggio diversi cecchini. «Sta diventando sempre più dura», «stanno entrando in centro», «abbiamo diversi morti». I messaggi da Ajdabiya nelle prime ore della mattinata erano via via più drammatici. Il check-point alla porta orientale, lungo la strada verso Bengasi, veniva portato indietro di un paio di chilometri. Tra Bengasi e Ajdabiya venivano rinforzati e mimetizzati due terrapieni dotati di cannoncini, unica difesa visibile in 150 chilometri di deserto. Coraggio e buona volontà da parte degli insorti, ma se non era per i raid Nato Ajdabiya ieri sarebbe caduta. Sono stati bombardamenti pesanti, i primi alle nove del mattino, poi altre tre ondate nelle ore successive. I lealisti non hanno avuto scampo, una ventina di camionette mobili con lanciarazzi distrutte, diversi carri armati annientati; in mezzo al deserto, secondo le testimonianze dei primi ribelli che hanno raggiunto la zona, i corpi semi-carbonizzati di decine di militari fedeli al raìs. I caccia della Nato non si sono limitati a bombardare questa zona, hanno colpito duramente anche alla periferia di Misurata (i carri armati distrutti lì sarebbero quindici) e soprattutto hanno preso di mira i depositi di munizioni e le linee di rifornimento delle forze di Tripoli. Il messaggio lanciato dalla Nato a Gheddafi è chiaro, la linea del fronte è fissata a Brega, non saranno permessi nuovi attacchi contro Ajdabiya. Nello stesso tempo l’Alleanza Atlantica avrebbe però chiesto ai ribelli di non lanciare, almeno per due, tre giorni, nuove offensive. Vediamo cosa cambierà con l’eventuale “Road Map”.
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