“Vittorio è un nostro martire caccia senza tregua ai suoi assassini”
GAZA – «Non ci sono parole per esprimere la condanna di un crimine così efferato, che non rappresenta il popolo palestinese, mi creda abbiamo fatto tutto il possibile per cercare di ritrovarlo prima di quel drammatico epilogo». È sinceramente toccato e commosso il premier di Hamas, Ismail Hanyeh, mentre mi riceve in una pausa del vertice con tutti i ministri convocati d’urgenza per discutere del rapimento di Vittorio Arrigoni e delle misure per bloccare la crescita dei gruppi salafiti violenti. Primo ministro Haniyeh, la situazione nella Striscia vi sta sfuggendo di mano? «Gaza è più sicura di quel che crede, mai era accaduto che ci fosse un gesto di violenza contro uno straniero e soprattutto mai contro i volontari pacifisti che svolgono qui un lavoro eccezionale. Vittorio, che noi consideriamo un martire, è rimasto vittima di un caso isolato». Non le sembra di minimizzare l’accaduto? «No. Come ho avuto la notizia del sequestro ho dato ordini precisi alle nostre forze di sicurezza di fare di tutto per garantire il suo rilascio, ma quei criminali avevano già deciso di ucciderlo senza rispettare l’ultimatum che loro stessi avevano dato ». Che ci può dire delle indagini? «Abbiamo arrestato diverse persone, tre di queste sono direttamente coinvolte con il sequestro, ma la caccia continua. E voglio dire a tutto il popolo italiano che non si fermerà fintanto che tutti i responsabili non saranno portati davanti al giudice per subire la condanna che si meritano. Noi non possiamo tollerare un crimine che infanga e umilia tutto il nostro popolo: avremo mano ferma e decisa. L’ho promesso a sua madre». Lei ha parlato con la madre di Arrigoni? «Sì ho voluto personalmente fare le condoglianze alla famiglia e ho garantito che non ci saranno altri crimini del genere a Gaza. Ho anche annunciato alla famiglia che quando il corpo di Vittorio verrà trasferito, noi vogliamo organizzare qui delle esequie solenni in piazza prima che lasci la Striscia. Presto una delle strade principali di Gaza City sarà intitolata al suo nome». Che reazione ha trovato? «Ho trovato una famiglia forte anche nel dolore, mi è stato ribadito che questo crimine non cambia la solidarietà e l’affetto che ha sempre espresso al popolo palestinese». Non può negare che la presenza di questi gruppi salafiti armati rappresenti una minaccia. Quali misure intende prendere a proposito? «Guardi ci sono misure che si possono annunciare pubblicamente e altre che è meglio tenere riservate, le ripeto: sapremo affrontare il problema». Sarà come dice il primo ministro di Hamas, ma all’uscita del suo ufficio nel pomeriggio si stagliano nettamente nel cielo due parabole di fumo che si dirigono verso la vicina città israeliana di Ashkelon, appena oltre il confine di Gaza. Sono missili Grad sparati da chissà quale milizia armata delle tante che popolano la Striscia a dispetto della tregua annunciata da Hamas solo quattro giorni fa. C’è chi nella Striscia vuole tornare allo scontro militare con Israele, perché è l’unico modo di guadagnare peso e visibilità a dispetto del milione e mezzo di abitanti che pagano un tributo di sangue a una jihad che in fondo nemmeno condividono. È questo il «problema» che Haniyeh deve affrontare.
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