Quelle bugie ai tunisini prigionieri a Lampedusa “Così evitiamo la rivolta”

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LAMPEDUSA – Ancora bagnati, cercano di nascondersi tra le pietre e i bassi cespugli nell’arida collinetta che sovrasta Cala Creta. Sono appena approdati, senza che nessuno se ne accorgesse, su una barca di poco meno di dieci metri, mentre il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, è dall’altra parte di Lampedusa in visita alla famosa spiaggia dell’Isola dei Conigli. Sono poco più di 70, cercano di disperdersi non appena messo piede a terra, mentre poliziotti e carabinieri sono impegnati nel servizio d’ordine per l’arrivo del premier. Hanno paura, ma quando capiscono che non ci sono poliziotti in vista due tunisini si convincono a fermarsi. I giornalisti spiegano loro che li riporteranno indietro, nuovamente a Tunisi. Li informano che altri loro connazionali giunti dopo il 5 aprile sono stati rispediti in Tunisia, e altri ancora sono rinchiusi nel Centro di accoglienza, anche loro in attesa di partire per la Tunisia. Uno dei due dice di chiamarsi Hamed e parla un po’ d’italiano. L’altro, più giovane, ha tra i 18 e i 20 anni, e non dice una parola. «Lo so – dice Hamed – che hanno cominciato i rimpatri, la notizia l’ho appresa quando ormai ero in barca, appena partito da Djerba. Un mio amico che si trovava a Lampedusa mi aveva telefonato, ma io indietro non ci torno: in un modo o in un altro riuscirò a raggiungere la Sicilia». Ma Lampedusa è piccola, è un’isola, non è facile fuggire. «Se sono fuggito da Tunisi, se ho attraversato il Mediterraneo con il rischio di finire in fondo al mare come tanti altri, perché non devo provare a scappare? Io indietro non ci torno». Dopo qualche ora Hamed e il suo compagno sono insieme a tutti gli altri dentro due pullman scortati da polizia e carabinieri che si avviano verso il Centro di accoglienza. Sono gli ultimi “prigionieri” di Lampedusa. Fino a venerdì erano 363, rinchiusi dentro due capannoni, sorvegliati a vista da un centinaio tra poliziotti, carabinieri e finanzieri. «Per tenerli buoni gli diciamo che presto saranno trasferiti a Catania o a Brindisi – dice un poliziotto di guardia ai tunisini – ma molti di loro sanno che è una bugia, sanno che ormai debbono essere rimpatriati. Però sperano in un miracolo, non so quale ma ci sperano». Il timore che regna dentro e fuori dal recinto dal Centro è che se i “prigionieri” dovessero aumentare la situazione potrebbe farsi pesante, come mercoledì scorso quando sono cominciati i rimpatri. Alcuni lo hanno saputo quando i primi trenta sbarcati a Tunisi nella notte sono stati consegnati ai poliziotti tunisini, e la notizia è tornata sull’isola. Anche loro, i trenta rimpatriati, hanno scoperto in viaggio il loro destino: «Quando li abbiamo imbarcati per riportarli a Tunisi gli avevamo detto che saremmo atterrati a Brindisi, ma quando hanno visto che gli abbiamo tolto i telefonini e gli abbiamo messo le manette di plastica ai polsi – racconta con una punta di amarezza un poliziotto – hanno capito che il loro sogno di raggiungere la Francia o la Germania, era svanito». Li, all’aeroporto di Tunisi i “rimpatriati”, non hanno avuto l’accoglienza riservata a loro dalle forze dell’ordine in italiana. «C’erano pochissimi agenti tunisini a terra, ma loro – afferma un poliziotto della Polaria – erano terrorizzati e a ben ragione, perché una volta finiti nelle loro mani i poliziotti li hanno spogliati e hanno cominciato a manganellarli mentre li accompagnavano su un pullman che chissà  dove li ha portati». Oggi i rimpatri dall’isola verso la Tunisia riprenderanno di nuovo con ponti aerei, e i 363 “prigionieri” di Lampedusa ritorneranno dove erano partiti. Ma gli sbarchi non accennano a bloccarsi, e gli scafisti continuano a fare affari d’oro. Raccontano che li porteranno a Pantelleria che è «più sicura», ma è una favola alla quale questi disperati fanno finta di credere.


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